Immancabile nei pranzi più importanti, magari adagiato su un velo di burro e croccanti crostini, è il re di sushi e sashimi, tartare, carpaccio. Ricco di proteine e omega-3, grassi essenziali per il benessere del cuore, il salmone è uno dei pesci più apprezzati e consumati al mondo.  

 

Anche in ragione di ciò, ricercatori dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, hanno pubblicato un approfondimento affinché i consumatori possano orientarsi tra gli scaffali del supermercato, scegliendo prodotti salutari ed ecologici. “Sia il salmone selvatico sia quello d’allevamento possono essere sostenibili”, affermano gli studiosi, “ma determinare l’impatto ambientale di un filetto non è semplice”.

Selvatico e allevato

Entrambi i tipi di salmone possono presentare notevoli problemi. Il salmone catturato in natura, che corrisponde al 30% circa di quello che finisce sulle nostre tavole, giunge per la maggior parte dall’Atlantico o dal Pacifico. Spesso è proveniente da popolazioni vulnerabili, sovrasfruttate, che rischiano l’estinzione.

Salmone allevato o selvaggio: come riconoscerlo

Il salmone prodotto in acquacoltura, che rappresenta il restante 70%, proviene da baie e insenature lungo le coste di Norvegia, Cile, Scozia, Canada, Islanda. Come raccontano i giornalisti Douglas Frantz e Catherine Collins in Salmon Wars, libro avvincente e documentatissimo pubblicato nel 2022, spesso gli esemplari sono stipati a milioni in reti galleggianti estese sotto la superficie dell’acqua e ancorate al fondale. Un affollamento che favorisce la moltiplicazione di batteri e pidocchi di mare, minuscoli parassiti che erodono la pelle e le mucose dei pesci, arrivando fino alle interiora. Vittime di malattie, i salmoni muoiono a un ritmo impressionante: le stime indicano una mortalità del 15-20% all’anno, pari a decine di milioni di pesci.

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“Salvate il salmone selvaggio”

di Paola Rosa Adragna

Per far fronte alla situazione, gli allevatori utilizzano massicce dosi di pesticidi, compresi gli antibiotici, i cui residui finiscono sotto le gabbie, formando, insieme con mangime in eccesso, pesce in decomposizione, escrementi, una mistura tossica per la vita marina. Problemi che saranno aggravati dai cambiamenti climatici, visto che temperature dell’acqua più elevate e precipitazioni ridotte favoriscono la crescita dei germi, contribuendo alla diffusione di patologie.

Le etichette più affidabili

In questo scenario a tinte fosche, come orientarsi, dunque, nelle scelte alimentari quotidiane? Uno degli esperti di Oxford, Laurence Wainwright, ha condotto ricerche sulle certificazioni dei prodotti ittici, incluso il salmone, per cinque anni, individuando le due più valide scientificamente.

 

Per il salmone selvaggio, si tratta del Marine Stewardship Council, riconoscibile dal marchio blu sulla confezione, che garantisce che il prodotto acquistato provenga da una pesca gestita secondo rigorosi standard ambientali, che includono tre princìpi, 28 indicatori di performance, 74 voci. Il riconoscimento prevede una valutazione iniziale, a cui seguono controlli annuali.


Per il salmone d’allevamento, l’etichetta più affidabile è, invece, Aquaculture Stewardship Council, un marchio caratterizzato dal rettangolo verde, che promette pratiche di acquacoltura responsabili. Come si legge sul sito web dell’organizzazione no profit, i valutatori esaminano e tracciano con attenzione ogni fase della filiera, dalla produzione all’approvvigionamento. Tra le varie prescrizioni, ridurre al minimo le fughe di salmoni, diminuire l’uso di pesce selvatico come ingrediente per mangimi, vagliare un piano di gestione della salute del branco con la supervisione di un veterinario, minimizzare e monitorare il rilascio di rame nell’acqua, non usare farmaci a scopo preventivo.

 

“Oltre a queste certificazioni, ce ne sono anche altre che offrono alcune garanzie di sostenibilità, ma spesso non sono altrettanto rigorose”, conclude Wainwright.