In una sola stagione, due anni fa, ne sono morti circa 400 ma entro fine secolo sarà a rischio la metà degli oltre 11mila alberi che crescono nei Kew Gardens di Londra, uno dei santuari internazionali per lo studio e la protezione del mondo vegetale. Nel 2002, quando le temperature hanno superato i quaranta gradi anche oltremanica gli esemplari di alcune piante autoctone dell’isola come farnia, faggio e betulla hanno dovuto alzare bandiera bianca. Canicola insopportabile, e piogge insufficienti, anche per questi organismi monumentali.

Secondo le previsioni, se non ci sarà un’inversione di rotta, Londra nel 2090 avrà un clima simile a quello attuale di Barcellona e solo il 45% delle specie coltivate ai Kew sarà nel suo areale di distribuzione contro l’attuale 83%. Sono solo alcuni dati pubblicati in questi giorni nel dossier “Planting the Future”, un documento preparatorio a un piano regolatore del paesaggio di questo celebre orto botanico fondato all’inizio del Settecento. Lo studio, in base all’evoluzione attesa della crisi climatica in assenza di interventi drastici, indica con una buona probabilità quali piante potranno sopravvivere in futuro nei 130 ettari del complesso a sud di Londra.

Crisi climatica

Per rinfrescare le città circondiamole di campagna

di Anna Lisa Bonfanceschi


Con quattro gradi in più, tanti ne sono previsti alla fine del XXI secolo, oltre cinquemila alberi dei Kew saranno malridotti o peggio. Ma, per quanto possibile, si eviterà una sostituzione su larga scala delle piante più vulnerabili con altre più resistenti. “Le specie saranno selezionate valutando, oltre alla resistenza climatica, anche l’idoneità paesaggistica, ambientale e culturale. – spiega Richard Barley, direttore dei giardini di Kew – Sarà una successione graduale perché il progetto propone il rinnovamento anche della gestione agronomica in modo da proteggere, per quanto possibile, le piante esistenti. Si tratta di un modello che poi può essere trasferito ad altri giardini botanici così come a quelli privati e naturalmente al verde pubblico”.

Oltre all’esperienza di tecnici e botanici, la fosca previsione del dossier è stata elaborata ricorrendo anche al Climate Assessment Tool, un software di modellazione climatica promosso dalla società internazionale BGCI (Climate Change Alliance of Botanic Gardens) che stima, in base a diversi scenari di cambiamento climatico, le probabilità di sopravvivenza nel tempo di una specie vegetale in una precisa area geografica. Ecco allora che gli alberi del futuro dei Kew potrebbero provenire da zone semiaride. Piante esotiche ma resistenti alla siccità come l’abete di Farges, originario della Cina, o il pino di Montezuma dedicato al sovrano azteco e il Quercus urbani entrambi endemici del Messico, così specie autoctone di Spagna e Portogallo come l’ontano Alnus lusitanica.

“Il riscaldamento globale avrà un impatto sul paesaggio dei Kew sia in forma diretta costringendoci a selezionare piante più adatte al clima sia riducendo la disponibilità di risorse come l’acqua o condizionando le esigenze dei visitatori. – aggiunge il direttore del complesso – La crescente richiesta di zone d’ombra, per esempio, sarà uno dei principali vettori di intervento sui giardini”. Il pioniere di questi piani di adattamento del paesaggio delle collezioni scientifiche è stato il giardino botanico di Melbourne in Australia dove il parterre delle piante presenti è aggiornato in modo tale che entro il 2036 almeno il 75% delle specie che crescono siano già adatte (o adattate) al clima previsto nel 2090. Le ricadute del cambiamento climatico sul patrimonio vegetale non riguardano solo i Kew. Nel 2023 uno studio ha dimostrato come nel 2090 anche il 60% degli alberi dell’Orto Botanico dell’Università di Pisa saranno a rischio entro la fine del secolo.