Buone notizie. Quando parliamo di giardino mediterraneo, parliamo di sostenibilità e la Sicilia in questo momento dà l’esempio al resto del mondo sull’argomento. Il motivo è prima di tutto ecologico: nei climi mediterranei le piante si sono evolute in condizioni frugali, approfittando dei momenti di abbondanza d’acqua e “riposando” nei periodi di siccità e di caldo, imparando a ottimizzare l’uso delle risorse. Inoltre, in pochi altri posti l’uomo e l’universo vegetale si sono coevoluti quasi in simbiosi. L’ecologo Jacques Blondel del Centro nazionale di ricerca francese ha dimostrato che la costante pressione umana è stata il fattore che più ha plasmato il nostro ambiente, portando a una biodiversità superiore a quella dei Paesi nordici. Ciò significa che prima dell’agricoltura industriale, noi umani abbiamo fatto parte integrante dei processi naturali, adottando dei metodi di coltivazione in equilibrio con le risorse. Grazie alla resilienza delle nostre piante e dei nostri saperi, ma anche per merito del lavoro svolto da dieci anni a questa parte dal Radicepura Garden Festival di Giarre (CT), tale esempio ispira oggi la progettazione del verde a prova di crisi climatica. Una lezione fondamentale, a valle della Giornata internazionale della salute delle piante appena trascorsa.
“Il giardino mediterraneo e? diventato il modello di riferimento a cui la maggioranza dei Paesi del mondo si sta ispirando per lo sviluppo urbano e non solo. Uno stile che appartiene al sofisticato mondo dell’arte e, allo stesso tempo, un modello di strategie ecologiche efficaci”, ha sottolineato il direttore artistico, l’architetto Antonio Perazzi, in apertura di questa quarta edizione della Biennale del paesaggio mediterraneo, che abbiamo visitato in anteprima (è aperta fino al 3 dicembre).
“Abbiamo creato un parco botanico dove mettere in mostra una raccolta di piante incredibili e, insieme, una collezione di giardini”, ha spiegato l’ideatore e fondatore della manifestazione, Mario Faro. Tra i quindici progetti in mostra, otto sono spazi temporanei realizzati da professionisti sotto i 36 anni, selezionati tra ben quattrocento candidature in concorso. Gli altri sono giardini permanenti firmati da nomi del paesaggismo internazionale (l’ultimo nato è Vento e acqua, tentativi di resilienza, di Paolo Pejrone). Massimo comun denominatore, le piante a km zero coltivate e messe a disposizione dai vivai Piante Faro. Oltre a dilettare con il fascino dei fiori chiunque voglia trascorrere un weekend nella natura, il festival apre importanti riflessioni, suggerisce soluzioni e allena occhio a una nuova bellezza in linea con il riscaldamento globale. Non a caso, la pianta simbolo di questa edizione è il carrubo, emblema di longevità e di resistenza alle condizioni più difficili. Di seguito, dieci idee ispirate alla nostra lettura dei nuovi progetti in mostra.
Scegliamo le piante “mediterranee”
Parlando di piante da clima mediterraneo i vivaisti intendono le specie della nostra area geografica, ma anche quelle provenienti da regioni analoghe, con estati calde e asciutte e inverni miti e piovosi. Per i climatologi, queste aree nel mondo sono cinque. Così, lavande e rosmarini tipicamente nostrani possono combinarsi con gerani, agapanti, plumbago e aloe del Sudafrica, accanto a callistemon e manuka dell’Australia meridionale, ai papaveri della California, a mandeville e cactacee del Cile, giusto per fare gli esempi più comuni. La maggior parte di queste varietà da “giardino secco” crescono e fioriscono dall’autunno alla primavera e, se non le innaffiamo, vanno a riposo in estate adottando diverse strategie di sopravvivenza.
Le succulente accumulano l’acqua in fusti e foglie; le xerofile, come le lavande e gli elicrisi, riflettono i raggi del sole grazie alla peluria argentata e si difendono dai parassiti con gli oli essenziali; le bulbose come amarillidi e ippeastri si affidano agli organi sotterranei per superare i momenti di “magra”. Scegliere queste specie e farle crescere in modo naturale significa risparmiare risorse e lavoro, abbassando la nostra impronta ecologica, ma anche creare un giardino resiliente e pronto a superare gli estremi climatici dati dal riscaldamento globale. Dunque, le piante mediterranee lavorano sul fronte della prevenzione e su quello dell’adattamento.
Premiamo la bellezza selvatica e i rain garden
In linea con il tema della manifestazione, Louis Richard ed Etienne Lapleau non hanno avuto il timore di fare una scelta netta e hanno creato un giardino che sembra un micro habitat di piante felici tra i sassi. Il nome del progetto, Apiaceae, descrive le uniche protagoniste dello spazio, ovvero le erbe dell’omonima famiglia botanica. Si va dalle ferule, che hanno infiorescenze gialle alte due metri, alle carote selvatiche, al prezzemolo. Quella dei due giovani paesaggisti francesi è una esplicita dichiarazione d’amore per la bellezza di queste fioriture spontanee tipiche del Mediterraneo che sostengono un’incredibile biodiversità di coleotteri, farfalle e altri impollinatori. Su un lato del giardino, le piante crescono dentro un leggero avvallamento, che è un ottimo escamotage per creare un’aiuola non accessibile senza usare recinzioni, così le piante non vengono calpestate e possiamo osservarle dall’alto. Lo scavo è anche un’area di bioritenzione, ingrediente tipico dei rain gardens: parliamo dei giardini anti-allagamento con un fondo ben drenato, che trattengono l’acqua durante i temporali per restituirla al terreno, senza convogliarla alle fognature, sempre più fondamentali in città. Una soluzione da copiare per più di un motivo, dunque.
Il progetto Alla mensa di madre Etna, di Linda Grisoli e Gordon Goh, mostra un giardino fatto si sole piante commestibili, spontanee oppure coltivate da secoli. Questa armonia tra specie autoctone e frutti introdotti dall’uomo ha portato alla grande diversità ecologica siciliana. Le piante crescono su una distesa di lapillo vulcanico senza un disegno geometrico prestabilito e ci si può camminare in mezzo per gioire dei loro profumi e stabilire un contatto ravvicinato. Al centro del progetto, spicca un tavolo circolare costruito con un muretto a secco molto spesso per avere un piano d’appoggio intorno a un’aiuola. Protagonisti, fico d’India nano, erba aglina (tulbaghia), mirto, Salvia leucantha e rosmarini: una “ricetta” vegetale da copiare così com’è per giardini e fioriere a bassissime esigenze idriche.
Pensiamo alla salute delle radici
E se scegliessimo le piante in funzione delle loro radici? Normalmente stiamo attenti al “sopra”, ma è un apparato radicale sano e ben esteso a garantire la sopravvivenza di esemplari rigogliosi e resilienti, come sottolinea il progetto Di-scendere di Marta Prosello, green designer, Andrea D’Ascola, vivaista e Sofia Ronchini, progettista. Un “canyon” dipinto di rosso – colore segnaletico per eccellenza – sottolinea la presenza di qualcosa di molto importante e invita a immergersi nel mondo ipogeo per guardare il giardino “dal basso”, attraverso finestre che permettono di osservare proprio le radici che affondano nel terreno. Sono loro le vere protagoniste dei paesaggi mediterranei, sebbene lavorino “di nascosto”. Il messaggio insegna che c’è molto lavoro sotto la superficie e che un giardiniere deve coltivare prima di tutto un suolo sano e ricco di sostanza organica. Annotiamoci le specie dalle radici forti e capillari di Di-scendere: bulbine, liquerizia, agapanti, iris barbate e Agave attenuata, perfetti per giardini e fioriere asciutti (i prodigi del loro apparato radicale li potremo notare anche estraendo delicatamente una di queste piante dal vaso, da un vivaista di fiducia).
Un cerchio perfetto di agavi e graminacee
Quello pensato da Nicoletta Aveni con Inviolabile Amuranza (foto in alto) è a suo modo un cerchio perfetto. La giovane architetta specializzata in sostenibilità ha voluto raccontare un giardino inaccessibile, da ammirare soltanto da fuori, girandogli intorno. Il messaggio appare subito chiaro: l’intervento dell’uomo non è sempre necessario ed è inutile cercare di imporre la nostra presenza alle piante. Se le varietà sono ben abbinate, possono sopravvivere in auto-gestione. Così, Inviolabile Amuranza è cinto da un perimetro circolare continuo. In questa cornice è particolarmente azzeccata la consociazione di diverse agave (tra cui Agave desmettiana, più compatta rispetto alla specie classica) con graminacee dai sottili fili dorati come Stipa tenuissima. Le due piante da secco si esaltano a vicenda, perché la pianta grassa dalle foglie scultoree dà una struttura all’insieme, mentre i “fili d’erba” gli conferiscono leggerezza, animando di vita il giardino al minimo soffio di vento. Un modello facilmente replicabile anche in vaso.
L’importanza di ombra e muretti a secco
Con Shadow and Stone Sara Stojakovic e Ana Toth hanno sposato la missione più difficile e ambiziosa: puntare su comunità vegetali naturali resistenti al clima. Ricreare un pezzetto di natura in un ambiente progettato dall’uomo, infatti, è una sfida quasi impossibile, ma le due paesaggiste croate ci sono andate vicino, riproponendo alcuni habitat della regione del Quarnaro, sulla costa croata. Ad alberi come Ostrya carpinifolia, Fraxinus ornus e Acer monspessulanum si accompagnano cespugli amanti del sole come viburnotino, lauro e fillirea, ma anche euforbie, salvie, iris e valeriana rossa, secondo un design naturalistico. Questo progetto riassume alcuni degli elementi fondamentali del giardino mediterraneo, da tenere bene in mente: l’ombra di alcuni alberi (da prevedere sempre, per noi e per gli animali); i muretti a secco, che permettono di riutilizzare i sassi estratti dal terreno e che ospitano microcosmi di biodiversità; la pavimentazione in ghiaia al posto del prato, per risparmiare acqua e manutenzione; una piccola vasca, per la bellezza e per dissetare uccellini e api.
Creiamo il nostro giardino segreto
Tutti abbiamo un giardino segreto, o quantomeno abbiamo il bisogno di averne uno. The Womb Garden, di Thomas Brown esplora questo nostro desiderio. Nel suo progetto le piante crescono protette dal vento, dentro una spirale dalle alte pareti in tessuto. Dall’esterno, si percepiscono in trasparenza le ombre degli arbusti, specchio della nostra necessità di verde. Quando entriamo, ci troviamo in un’oasi confortevole e pacificante, come in un grembo materno. L’architetto americano ha usato specie dalle provenienze più disparate per rappresentare l'”ecologia internazionale” che si crea nei nostri giardini, dove mescoliamo essenze dei cinque continenti. Ritagliarsi uno spazio intimo e segreto all’interno del giardino, anche attraverso una siepe o delle quinte in cannicciato, è un trucco spesso usato dai progettisti per aumentare la percezione dello spazio. Questo giardino segreto, che ricorda nella concezione i giardini panteschi chiusi tra pareti circolari, ci fa riconciliare con la natura.
Scopriamo la mimosa sensitiva
Shy Pavillon torna sul tema del bisogno di intimità, proponendo uno spazio riservato ad animi timidi e sensibili. Al centro di questo spazio, progettato dal team Atelier NOT (Adrian Wen, Frank Wu, Freya Jiao) c’è una pergola senza il tetto, cinta da tende scorrevoli traslucide che si possono aprire e chiudere per aumentare o diminuire il livello di privacy. Protagonista vegetale delle due aiuole è la Mimosa pudica, una leguminosa sensitiva le cui foglie si ritraggono al minimo tocco, per riaprirsi dopo qualche minuto. È tra le specie più diffuse al mondo tanto che nei climi tropicali è addirittura infestante. Da noi è considerata una curiosità botanica, ma ci ricorda come, indipendentemente dalla velocità di reazione, tutte le piante siano esseri viventi che percepiscono l’ambiente circostante e rispondono agli stimoli. Procuriamocene una piantina o dei semi per raccontare ai nostri bambini l’intelligenza delle piante. Mettiamo i suoi grani in ammollo in acqua calda per qualche ora prima di interrarli e poi teniamo la pianta in pieno sole.
Ricicliamo in maniera creativa
Tra i crepacci di un enorme monolite in pietra sboccia un’oasi inaccessibile all’uomo; un micro-giardino coltivato dalle api, dalla pioggia, dal sole e dal vento. Quella raccontata da UFO. Una Foresta Occulta, progetto del collettivo BoHo (Maria Laura Calogero, Matteo Pessini, Graziano Testa) è una storia che sulle colate laviche dell’Etna si perpetua dalla notte dei tempi e che ci insegna come prendere esempio dell’operato della natura sia la migliore forma di sostenibilità. Il piccolo giardino-gioiello incastonato nella roccia è collocato al centro di una collinetta di lapillo vulcanico, materiale che in Sicilia orientale è letteralmente piovuto dal cielo in abbondanza durante le eruzioni degli anni scorsi, ricoprendo di uno spesso strato strade e villaggi. Ingegnarsi e riciclare in maniera creativa quanto offre il territorio è sempre un insegnamento prezioso e i vivaisti siciliani si sono battuti per potere impiegare questo materiale, che prima erano costretti a far confluire in discarica come rifiuto speciale (a proposito di materiali locali, in Nord America, al posto della ghiaia si impiegano addirittura i noccioli delle ciliegie provenienti dall’industria delle conserve e nelle zone di mare del Regno Unito, i gusci di conchiglie).
Le siepi di melograno
Il giardino della Kolymbethra, nel cuore della Valle dei templi di Agrigento, è un’oasi agricola e archeologica dove, tra ulivi secolari, agrumi antichi e alberi mediterranei, si celano le vestigia della città di Akragas, fondata dai Greci nel VI secolo a. C. Da anni, questo parco è stato affidato in concessione al FAI dalla Regione Sicilia. Il progetto Omaggio alla Kolymbethra, realizzato dal FAI a Radicepura Garden Festival, racconta gli elementi simbolo di questo paesaggio agricolo, spiegando come tale territorio plasmato dall’uomo nei millenni sia da considerarsi un’opera d’arte. In mostra, un giardino arido con la siepe di fichi d’India che racchiude un ulivo, più un giardino irriguo. In quest’ultimo, secondo il sistema tradizionale siciliano di derivazione araba, l’acqua arriva agli alberi di aranci e limoni dalla condotta della saja attraverso piccoli canali di coppi rovesciati. Gli agrumi fanno parte della collezione di varietà antiche custodite alla Kolymbethra, riprodotte da Piante Faro per la nuova area dell’Orto Botanico dell’Università di Palermo.
Da copiare, le siepi ottenute con piante mediterranee come il melograno potato, che grazie alle spine crea una barriera invalicabile, ma anche il mirto, sempreverde, oppure l’alloro. Per guardare al futuro, infatti, è importante attingere alle conoscenze del passato, come insegna anche il progetto di ricerca Ipogea, ideato dall’architetto Pietro Laureano, con una Banca dei saperi tradizionali e del loro uso innovativo a disposizione di tutti i professionisti che operano nel campo dell’ambiente.