Una laurea in energia meccanica nella struttura in cui ora insegna, specializzazioni sulla termodinamica, incarichi prestigiosi in ambito nazionale e internazionale e la convinzione granitica che la crescita socio-economica può arrivare soltanto da un’innovazione capace di essere trasversale a più ambiti del sapere. Romano Borchiellini, 64 anni, quest’anno al Politecnico di Torino ha insegnato anche “Transizione energetica e società”, un corso che dice molto delle sfide che in questo momento lo appassionano di più. È con l’Energy center lab, il centro interdipartimentale di cui è coordinatore per il Politecnico, che il gruppo guidato da Borchiellini è protagonista di progetti pionieristici come le comunità energetiche di Magliano Alpi e i condomini autoconsumatori a Pinerolo e altri 20 comuni piemontesi. Motore di questi trasferimenti del sapere universitario in aziende e iniziative comunitarie è la capacità dell’Energy Center di fare da catalizzatore.
Professor Borchiellini, come è nata l’idea dell’Energy Center?
“È stato un percorso lungo e complesso, frutto di riflessione tra diversi docenti all’interno del Politecnico. Abbiamo la fortuna di un forte radicamento dell’università nel territorio, per cui ci è stato possibile trovare le risorse economiche all’esterno per realizzare la sede del Centro. Il luogo che ospita le attività del laboratorio multidisciplinare è un edificio realizzato con il contributo di Regione Piemonte, Comune di Torino e l’intervento di fondazioni bancarie, che a Torino hanno una storia e un ruolo importanti nello sviluppo del territorio, come la fondazione Compagnia di San Paolo e la fondazione Cassa di Risparmio di Torino”.
La storia
A Bologna la più grande comunità energetica d’Italia: dal centro commerciale alla parrocchia
dalla nostra inviata Fiammetta Cupellaro, foto di Mattia Zoppellaro
Quali sono le domande alle quali il Centro vuol dare una risposta?
“Quando abbiamo avviato le attività nel 2017 ci siamo posti soprattutto alcuni quesiti. Come si possono approvvigionare le nostre comunità di energia sempre più rinnovabile e sicura? Quali sono le tecnologie e infrastrutture energetiche chiave da sviluppare o rafforzare? E quali sono le caratteristiche della città del futuro per essere sempre più sostenibile? Partivamo, come detto, da docenti del Politecnico interessati a sviluppare questi temi e che ritenevano interessante il dialogo istituzionale. Ma quel che dico sempre è che l’Energy Center non è, o non è solamente, un centro di ricerca: sottolineo con forza che è un edificio dove si incontrano fisicamente ricercatori, aziende e pubblica amministrazione. Sapevamo che per rispondere alle nostre domande avevamo bisogno che ci fosse contaminazione tra questi ambienti, tanto che oltre il 70% dell’edificio che ospita il laboratorio è occupato da imprese, non dai docenti perché le persone strutturate nel Politecnico hanno già un ufficio. C’era bisogno di uno spazio lavorativo, dove le aziende potessero sviluppare le loro attività dialogando continuamente con le competenze trasversali fornite dal centro”.
Come avviene questo lavoro fianco a fianco con le aziende?
“Intanto c’è da dire che la ricerca sulla transizione energetica e ecologica si dirama parallelamente su molti filoni. Per esempio, uno degli ambiti in cui siamo più impegnati è quello dello studio dei sistemi di accumulo dell’energia quali le batterie, un settore importante che richiede una visione trasversale, che accorpa le varie ricerche di varie discipline. Quanto alla collaborazione con le aziende è emblematica quella con Edison: in un laboratorio condiviso, sviluppiamo nuove tecnologie per la transizione energetica. Tutte le università hanno attività di ricerca congiunte con soggetti privati, noi ci distinguiamo perché nell’Energy center condividiamo con le aziende lo spazio dedicato, con attrezzature di laboratorio “pesanti”. Così, mentre portiamo avanti gli studi per riprodurre il comportamento di una colonnina di ricarica elettrica collegata alla rete cittadina (simulando esattamente consumi, flussi e impatto sulla rete a seconda del numero di colonnine) facciamo anche esperimenti legislativi. Poiché lo spazio è comune, abbiamo dovuto pensare a una modalità di gestione della sicurezza unica per privato e pubblico. Sia chiaro, per queste cose non si vince il Nobel, ma sono cruciali per affrontare le difficoltà del trasferimento tecnologico”.
Tra le iniziative che hanno avuto una grande ricaduta sul territorio c’è stato il “Manifesto delle comunità energetiche”. Come è nata l’idea?
“Abbiamo mostrato sensibilità rispetto al tema un po’ in anticipo rispetto ad altre realtà, proprio perché abbiamo una visione più integrata, che non parte dalla singola tecnologia. Per un ricercatore le Cer di per sé non sono particolarmente interessanti, diverso invece è coglierne il potenziale all’interno della transizione ecologica, appunto in prospettiva trasversale. L’idea di redigere il “Manifesto” è nata dopo un incontro tra docenti universitari, amministratori locali e aziende. Avevamo discusso delle ricadute sul territorio, le sfide tecnologiche e legislative e abbiamo voluto che tali riflessioni non restassero lettera morta, per creare consapevolezza e supportare attivamente il processo di transizione verso una società carbon-free, dove l’energia rinnovabile è alla base di un nuovo paradigma del vivere. Il Manifesto definisce appunto che il processo di transizione energetica deve essere declinato in diversi linguaggi (tecnico, scientifico, normativo, finanziario, divulgativo), in modo da raggiungere con efficacia la molteplicità degli interlocutori”.
Il coinvolgimento dei privati è uno dei vostri punti forti, quali sono le vostre linee guida sotto questo aspetto?
“La nostra attività deve tenere conto dell’interesse pubblico, ma senza bloccare il privato. Un esempio viene proprio dalle Cer: avremmo potuto essere soltanto dei valutatori che fornivano un parere oppure, e questa è la via fino a oggi scelta, essere il terzo attore in un progetto in cui cerchiamo di consigliare pubblico e privato. La nostra visione trasversale credo sia fondamentale, perché uno dei temi che si porranno sulle CER sarà proprio di stabilire quale è la loro dimensione ottimale perché non ci sia soltanto il singolo cittadino che beneficia di un risparmio in bolletta, ma quali possono essere le ripercussioni a livello locale e perfino per il sistema nazionale. L’ultimo aspetto è prematuro, ma noi dobbiamo pensarci, con la nostra capacità di sguardo complessivo”.
Da questo vostro approccio trasversale nasce l’ultimo progetto di successo, finanziato dai fondi Pnrr.
“Il Politecnico di Torino attraverso l’Energy Center ha vinto un bando del ministero dell’Università dedicato alla creazione o ristrutturazione di infrastrutture tecnologiche di innovazione, in cui il 51% per cento sia posseduto da privati. Noi saremo l’ente attuatore di una rete di aziende e università in modo diffuso sul territorio, con l’idea di mettere insieme i laboratori e la capacità per lavorare in contemporanea e sviluppare il digital twin del sistema energetico italiano. Questa infrastruttura tecnologica ambisce a dare un contributo indispensabile alla transizione ecologica per la prototipazione dei prodotti e per le scelte di politica energetica”.