Come possiamo salvare le piante? Innanzitutto comprendendo che possono essere salvate. Già, perché non ci sono motivi tecnici, dice Richard T. Corlett dello Xishuangbanna Tropical Botanical Garden nello Yunnan (Cina) perché una qualsiasi specie vegetale dovrebbe estinguersi. Il problema semmai è comprenderlo, e mettere insieme tutti gli sforzi necessari a tutela del regno vegetale, superando quello che il ricercatore non esita a definire uno “zoocentrismo“ negli sforzi di conservazione. Pensiamo tanto, troppo agli animali, e troppo poco ancora alle piante. La questione di fondo, argomenta Corlett sulle pagine di Trends in Plant Science, è comprendere che esistono tanti modi per conservare una pianta. Accettando anche l’idea di una conservazione “in cattività”, laddove cambiamenti climatici, consumo ed erosione del suolo e malattie mettano in crisi gli ambienti naturali.
Esistono infatti diversi modi per mantenere in vita una pianta. Una pianta può essere conservata infatti dove vive, in situ, presso aree protette, scrive Corlett, o ex situ, presso orti botanici, banche di semi, congelatori. Ognuna di questa strategia ha i suoi costi, certo: dalla scelta di destinazione di un appezzamento di terra, ai costi diretti e indiretti di gestione, al monitoraggio, al personale eventualmente dedicato, ma alcuni di questi costi possono essere rivisti al ribasso adottando una strategia conservativa. Per esempio l’autore immagina la creazione di microriserve – aree con una superficie sotto i 50 ettari – come possibile alternativa alle aree protette più tradizionali, particolarmente adatte a piante con endemismi ristretti.
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Le strategie di conservazione in situ però potrebbero non bastare. In questo senso, affiancare strategie ex situ – orti botanici, ma anche riserve urbane, pubblici e privati – potrebbe aiutare, tenendo a mente che si tratta per così dire di seconde scelte: la selezione delle piante da destinare a queste collezioni “artificiali”, infatti, ha spesso dimostrato di essere poco rappresentativa, sia numericamente che da un punto di vista genetico. Senza tenere in considerazione tutte le specie associate – visibili e invisibili a occhio nudo, come virus e batteri – che convivono con le piante, e che sono riproducibili solo in parte nei giardini botanici. La conservazione dei semi, infine, sebbene possibile per molte piante non lo è per tutte: non tutti i semi possono essere disseccati e congelati, e non tutti possono essere conservati a lungo.
Ognuna di queste strategie presenta chiari limiti, ma insieme – in quella che Corlett definisce una strategia di conservazione integrata – potrebbero garantire un futuro alle piante. Magari una strategia che includa anche la possibilità, un giorno, di rigenerare piante estinte modificano parenti vegetali esistenti. Quello che manca per evitare che quel 21-44% di piante vascolari oggi minacciate dall’estinzione scompaia davvero più che le tecnologie sono i mezzi, e gli intenti: soldi, personale, spazi, dati sullo stato di conservazione. E la conoscenza: si stima infatti che fino a un 25% delle piante vascolari sia ancora sconosciuto. E le piante “non descritte sono invisibili alla scienza e alle strategie di conservazione”, scrive il ricercatore.