Sono amati o odiati. Difficilmente, in tutti i casi, possono restare indifferenti. Gli attivisti di Ultima Generazione e le loro azioni, come i blocchi stradali, gli imbrattamenti dei palazzi istituzionali e di opere d’arte (ma sono anche presenti ad aiutare ovunque avvenga una catastrofe ambientale, dall’Emilia Romagna alla Toscana) stanno dividendo il Paese tra chi li condanna e chi comprende, e a volte condivide, il senso e le motivazioni delle loro proteste. Di certo stanno guadagnando sempre più l’attenzione mediatica che hanno cercato sin dalla loro nascita, circa due anni fa, come strumento per rilanciare una proposta di disobbedienza civile, pacifica e non violenta, contro una società “fossile”, colpevole di uccidere l’uomo e di compromettere gli ecosistemi naturali.
Con lo sguardo “ad altezza d’uomo (e donna)” i due registi Riccardo Cremona e Matteo Keffer hanno realizzato il documentario “Come se non ci fosse un domani”, prodotto da Ottavia Virzì, e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Il film racconta la storia del movimento impegnandosi a mantenere un approccio puramente di osservazione come il buon cinema del vero sa fare.
“Ci siamo avvicinati a loro realizzando dei servizi giornalistici e consideravamo – spiega Riccardo Cremona – la loro azione molto interessante sotto il profilo mediatico, le loro proteste “bucavano lo schermo”. Ci interessava la maniera molto radicale con cui mettevano in atto le azioni di disobbedienza e abbiamo iniziato a seguirli con continuità a partire dall’inverno del ‘22 con la protesta a Bologna, per le vittime di Ischia, e poi con il blocco stradale al traforo del Monte Bianco. All’inizio i ragazzi ci guardavano con molta diffidenza. Eravamo dei giornalisti come tutti gli altri. Poi, nel corso dei mesi, hanno capito che il nostro era un approccio equilibrato e di lungo periodo.”
D – Che idee vi eravate fatti dei ragazzi del movimento?
“Non avevamo – continua Matteo Keffer – un’idea preconcetta di partenza. Certamente avevamo presente la tendenza a screditare le loro proteste con l’accusa di infantilismo. Abbiamo incontrato, invece, un movimento di ragazzi, tra i venti e i trent’anni, laureati o universitari, provenienti da tutto il Paese e di condizione sociale sostanzialmente non benestante, che sono profondamente impauriti dalla situazione climatica e ambientale ma al contempo animati da un forte coraggio che li sta portando a compromettere, forse per sempre, il loro futuro nella società e nel mondo del lavoro. Stanno accumulando denunce e provvedimenti ma, questi ragazzi, hanno preso la decisione di anteporre un ideale alla loro singolarità di esseri umani”.
Per Ottavia Virzì l’incontro con il gruppo dei ragazzi di UG è stato ancora più spiazzante: “Forse per il fatto che ho un passato da attivista ambientale, avendo militato sin dal 2015 in diversi movimenti, sono rimasta sorpresa per l’unicità della loro azione e per la loro preparazione sui temi ecologici. È questo mix che mi ha emozionato”.
D – Eppure quando i ragazzi di Ultima Generazione partecipano a trasmissioni televisive non sempre riescono a comunicare con efficacia le loro scelte. Come mai?
“È molto difficile riuscire ad andare negli studi televisivi – continua Virzì – rispondere alle domande dei giornalisti, a volte incalzati e provocati. Questa loro impreparazione trapela molto spesso negli interventi e nel corso delle interviste. Questo documentario, che riporta alcuni di questi momenti, ci consente di mostrare quello che sono in realtà, restituendo un carico di umanità ai ragazzi.”
D – Di che realtà numerica stiamo parlando? Quanti sono e come sono organizzati?
“Non sono tantissimi – ci spiega Cremona – poche centinaia. Hanno una organizzazione non verticistica ma funzionale che si basa sulle teorie della disobbedienza civile. La transizione che auspicano non si limita solo agli aspetti energetici ma che riguarda il modo in cui prende forma la nostra struttura sociale”.
D – Nel documentario vi siete concentrati sulle vicende di 5 militanti. Come li avete scelti?
“Il tentativo che abbiamo fatto, in realtà, è quello – chiarisce Keffer – di restituire l’intelligenza collettiva del gruppo. Abbiamo immaginato un film corale appoggiandoci su alcune storie che ci sono sembrate rappresentative. Poi ci è sembrato interessante anche raccontare il conflitto generazionale. E molto emerge quando mettiamo in relazione questi ragazzi con i loro genitori. Del resto la crisi climatica in atto produce la rottura del patto intergenerazionale”.
D – Nel documentario i ragazzi sembrano oscillare tra preoccupazione e speranza. C’è un equilibrio?
“I ragazzi di Ultima Generazione – per Cremona – non accettano di parlare di speranza. Per loro è un termine che nasconde semplicemente il tentativo di rinviare il problema. In realtà sperare è necessario perché è un motore di vita. Per un ventenne che vede il proprio futuro compromesso è complesso trovare un equilibrio tra l’ansia climatica e l’energia del desiderio di non accettare tutto passivamente. L’idea che ci siamo fatti è che all’interno di UG prevalga uno spirito positivo. Hanno accettato di svolgere un ruolo da catalizzatore, per consentire e velocizzare la realizzazione di un processo di ripensamento sulle nostre scelte”.
Il documentario sarà prossimamente distribuito nelle sale italiane, un’occasione per avviare un confronto, per comprendere, interrogarsi e utilizzare il cinema e la sua capacità di parlare agli spettatori in profondità.