Una famigliola di cinghiali passeggia per le vie di Roma, facendo slalom tra il traffico. Un orso sfonda la finestra di una pasticceria di Roccaraso, nel Parco d’Abruzzo, e fa razzia delle teglie di biscotti destinati alla vendita. Un cane, inavvertitamente lasciato libero nel bosco in una zona di presenza di lupi del Trentino, viene sbranato dal branco. Un daino bruca con avidità i germogli delle plantule della foresta planiziale del Circeo, che tentano di ricrescere in un ecosistema ampiamente degradato dall’eccessivo numero di ungulati. Gli animali selvatici del nostro Paese occupano sempre di più le cronache, in positivo e in negativo. Sono i nostri vicini di casa. Quelli che si prendono la notte come rapinatori di professione, quelli che ci guardano da un prato mentre sfrecciamo in automobile, quelli che non li vedi mai. Oppure troppo. Tutti insieme però molto ci raccontano del posto in cui li abbiamo costretti a vivere e del posto in cui viviamo anche noi.
Non grandi spazi selvaggi, bensì spesso aree antropizzate e densamente popolate. Noi e loro, fianco a fianco. Non è sempre facile anzi, a dirla tutta, può essere faticoso e complesso. In ogni caso non è il Canada. Qui le cose vanno diversamente. Certe situazioni limite vanno gestite attivamente, cercando da una parte di prevenire i guai, dall’altra di lavorare per difendere e ripristinare gli equilibri degli ecosistemi. È evidente che orsi e cinghiali a spasso per le città sono un rischio e che certe situazioni non sono socialmente tollerabili. E dove i cervi, o peggio ancora i daini, sono troppi, è necessario darsi da fare per ridurne le densità, ridando così respiro alle altre forme di vita, travolte dalla crescita “fuori controllo” di specie ad alto impatto. Se la comunità scientifica ha un’idea dinamica di biologia della conservazione, lo stesso non si può dire però della società civile, che spesso vive il rapporto con il mondo selvatico nel suo complesso come una sorta di estensione del giardino di casa. C’è infatti chi lascia torte sul davanzale per dar da mangiare al povero orso (così magari ci scappa pure una foto), chi rincorre i cinghiali per farsi il selfie da mettere nella foto del profilo, chi organizza sit-in di protesta contro il piano di controllo del (povero) daino e chi attacca cartelli che incitano all’odio contro lupi e immigrati che minacciano le italiche sicurezze.
Gli animali selvatici sono infatti, da sempre, metafore complesse, trappole di simboli. Era così nella Bibbia, è stato così nel Medioevo ed è così anche nell’Antropocene in cui viviamo, caratterizzato da fake news, infodemia e da una strumentalizzazione politica degli argomenti ambientali. Ecco perché la comunicazione ambientale è un imprescindibile strumento per la conservazione della natura. Lo sanno bene all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) dove alle funzioni tecniche e scientifiche legate al monitoraggio, alla valutazione e al controllo dei beni ambientali, si è aggiunto un impegno crescente dedicato al tentativo di fornire un’informazione di qualità. Il Progetto Life Asap, coordinato proprio da Ispra, ha per esempio costituito un punto di svolta nella pianificazione della comunicazione e informazione sulle specie aliene, partendo dal presupposto che conoscere le problematiche aiuta a comprendere gli interventi di gestione attiva. Ma il coinvolgimento dell’Istituto di ricerca è davvero a 360 gradi e passa attraverso una pluralità di canali: dai volumi per bambini scritti dal responsabile del Servizio per il Coordinamento della Fauna Selvatica, Piero Genovesi (“Per un pugno di ghiande”, “Storie bestiali”), fino all’impegno su giornali e tv per far comprendere le interazioni tra grandi carnivori e uomo, e favorire così la convivenza.
D’altronde, scienza e opinione pubblica sono in un momento difficile. La colpa è degli scienziati che non vogliono uscire dalle loro “torri d’avorio” o dei giornalisti che sono poco alfabetizzati sotto il profilo scientifico? Secondo l’Università dell’Insubria, le responsabilità non sono né degli uni, né degli altri, bensì della mancanza di una figura terza: professionisti altamente qualificati che conoscano a fondo le tematiche naturalistiche e ambientali ma in possesso anche degli strumenti necessari per operare professionalmente nel campo della divulgazione. “Per questa ragione, sottolinea Damiano Preatoni – Direttore del Master Fauna HD “Professionisti della Comunicazione per la Fauna, l’Ambiente e il Paesaggio”, recentemente tra Lombardia e Trentino è stato avviato un percorso didattico ad hoc, con l’obiettivo di formare figure professionali in grado di trasmettere le conoscenze sulle tematiche naturalistico-ambientali e dei paesaggi e sull’interazione di queste con l’uomo. Un percorso ricco di nuove iniziative, di innovazione culturale, condotto in sinergia tra enti pubblici che si occupano di ambiente e natura e professionisti del settore”.
Nella società italiana del terzo millennio è considerato disdicevole non conoscere i nomi degli atleti delle squadre di calcio, o i modelli delle automobili più in voga, mentre è del tutto normale non saper distinguere un pino da un abete, o definire “bambi” qualsiasi cucciolo di ungulato. Nell’era del Green Deal europeo, mentre il Pianeta si surriscalda, la biodiversità sparisce e le zoonosi ci affliggono, è giunto il momento di cancellare questo analfabetismo con una comunicazione più corretta, mirata ed efficace che concorra alla conservazione del Pianeta.
Per informazioni: Fauna e Human Dimension / Iscrizione e requisititi d’accesso (.pdf)