È passato poco più di un anno da quando l’espressione comunità energetica ha timidamente mosso i primi passi nell’opinione pubblica per guadagnarsi – complici i rincari dovuti alla guerra in Ucraina e la volontà di smarcarsi dalla dipendenza dal gas russo e, in generale, dei combustibili fossili – la luce dei riflettori. Ma quanto ne sanno, davvero, gli italiani? I risultati della ricerca commissionato da Green&Blue a SWG parlano chiaro: nonostante il termine sia piuttosto nuovo la maggior parte ne ha sentito parlare e le ritiene una soluzione capace di porre un freno alla povertà energetica, oltre a essere indicate, anche se in misura minoritaria, come strumento utile alla transizione ecologica.
In un contesto dove forme di partecipazione e scambio di beni e servizi, dal baratto al carpooling, interessano soprattutto le fasce più giovani della popolazione e il senso di appartenenza, anche se locale e di quartiere, si celebra soprattutto online, gli intervistati familiari al concetto di comunità energetica sono ben 6 su 10.
Quelli che non ne hanno ancora mai sentito parlare sono soprattutto disoccupati e appartenenti ai ceti meno abbienti. Il 16% di chi le conosce – imprenditori e autonomi, millennials e abitanti di piccoli centri – dichiara di sapere esattamente di cosa si tratti, anche se solo la metà è consapevole che si limita esclusivamente alla condivisione dell’energia e non, come immagina l’altro 42%, che interessi anche altre pratiche quotidiane come l’orticoltura, l’uso degli spazi o la cura dei bambini. Nella lotta alla povertà energetica, il 69% degli italiani le ritiene capaci di arginare i costi in bolletta per i ceti meno abbienti, sebbene proprio tra quelli che potrebbero beneficiarne maggiormente prevale lo scetticismo e questa percentuale scende al 16%.
Un altro dato importante emerso dalla ricerca, nonostante la maggioranza degli intervistati sia convinta che le comunità energetiche rimarranno una pratica per pochi, è che circa un quarto riconosce il loro potenziale impatto sulla transizione energetica e il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Tra loro per la maggior parte laureati (31%), baby boomer (25%) e abitanti di grandi città (26%). Il 14% degli italiani le percepisce più come una moda passeggera e solo per il 9% si tratta di un’utopia senza futuro.
La predisposizione del Paese alle comunità energetiche è dunque alta. E se pochi hanno dubbi sulla loro efficienza, i timori riguardano soprattutto la messa in opera degli impianti. Per il 61% i lavori richiederebbero molto tempo e competenze specifiche, mentre i presunti costi elevati di installazione ed efficientamento delle singole abitazioni bloccano il 47%. Fonte di preoccupazione è anche il rapporto tra i partecipanti: il 57% degli intervistati ha infatti paura che possa minare l’armonia del gruppo, con gli utenti che consumano di più avvantaggiati su quelli parsimoniosi.
Non è un caso infatti se quasi la metà crede che l’installazione di una comunità energetica sia possibile solo in piccoli comuni, dove gli abitanti si conoscono meglio. L’eventualità di dar vita a una comunità energetica con amici, parenti o persone fidate incoraggia gli italiani a partecipare: a queste condizioni il 58% sarebbe favorevole.
Perché le CER diventino realtà, a promuoverne lo sviluppo dovrebbero essere gli enti locali, dichiara il 57% degli italiani, coi Comuni in pole position davanti a Regione e Stato. Solo il 9% riconosce un ruolo di del genere all’Unione europea, tra loro 1 su 5 fa parte della Generazione Z, sintomo del sentimento europeista comune tra i più giovani, in contrapposizione a pensionati e baby boomers che invece vorrebbero se ne occupasse il fornitore di energia.