La crisi di governo, con l’esecutivo Draghi incaricato di provvedere da qui alle elezioni del 25 settembre solo all’ordinaria amministrazione, rischia di avere ripercussioni anche sulla crisi climatica. Il timore è che si arenino tutta una serie di provvedimenti che avrebbero dovuto accelerare la transizione energetica, favorendo la nascita di impianti eolici e fotovoltaici. “I primi sei mesi del 2022 sono stati quelli del ritorno al passato (gas, carbone e olio combustibile)”, avverte il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani. “La seconda parte dell’anno avrebbe dovuto essere il ritorno al futuro sulle rinnovabili, ma ora con la fine della legislatura subirà imperdonabili ritardi”.
Per questo sarà fondamentale la conferenza stampa che il ministro per la Transizione ecologica terrà mercoledì prossimo: secondo fonti del Mite Roberto Cingolani coglierà l’occasione “per fare il punto su quello che è stato fatto e su cosa c’è da fare”. Si capirà forse in quella sede quanto sono fondate le preoccupazioni degli ambientalisti e delle associazioni di categoria che operano nel settore delle energie rinnovabili.
Il nodo cruciale è il decreto legislativo 199/2021, approvato lo scorso novembre e che prevede una serie di misure per “accelerare la crescita sostenibile del Paese”. Il problema è che perché il dl 199/2021 diventi realtà vanno varati una serie di decreti attuativi per ora rimasti nel limbo della crisi politica.
Si comincia con le linee guida, che il governo avrebbe dovuto indicare entro il 30 giugno, per permettere alle Regioni di individuare le aree idonee alla realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici. Il 30 giugno è passato senza che il governo si pronunciasse, poi sono arrivate le dimissioni di Draghi. E tutto questo rischia di frenare un “censimento” di Comuni e Regioni che già procedeva a rilento. Il decreto 199 prevede anche incentivi, sia per le rinnovabili “mature” (fotovoltaico, eolico on shore), sia per quelle ancora poco competitive (eolico in mare, geotermia, biomasse, idrogeno, biometano e biometano avanzato). Ma senza decreti attuativi, niente incentivi.
Ci sono poi i ritardi storici dell’Italia. Il Piano di Adattamento ai cambiamenti climatici è fermo alla sua prima stesura del 2018. Così come tutti attendono una versione aggiornata del Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) che recepisca finalmente i nuovi target europei di taglio delle emissioni della CO2, stabiliti prima con il programma Fit fo 55 e poi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, con il RepowerEu.
C’è anche chi si chiede che fine farà, nei meandri dell’attuale crisi di governo, il Fondo italiano per il clima: prevede 840 milioni di euro l’anno per il periodo 2022-2024 per raggiungere gli obiettivi stabiliti nell’ambito degli accordi internazionali sul clima e sulla tutela ambientale. È stato varato con l’ultima Legge di bilancio, ma il Mite deve ancora provvedere a rendere esecutiva la norma.
A tutto questo si aggiungono le misure contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a favore delle rinnovabili e più in generale della transizione energetica: gli 1,1 miliardi destinati all’agrivoltaico, i 2,2 miliardi per le comunità energetiche nei piccoli Comuni e l’autoconsumo, le misure sul biometano, i tanti progetti sull’idrogeno e quelli sulle filiere nazionali di fotovoltaico, eolico e batterie. Procederanno o si fermeranno fino alla nascita del nuovo esecutivo? Dipende da quanto elastica sarà l’interpretazione di “ordinaria amministrazione”.
Non potrà certo passare inascoltato il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che al momento di sciogliere le Camere ha invitato comunque la politica ad “attuare il Pnrr nei tempi concordati”. Ma resta il dubbio che provvedimenti in fase di stallo da mesi, e che richiedono decisioni non solo tecniche ma politiche, possano subire una accelerazione proprio mentre a Palazzo Chigi c’è un governo che non è nella pienezza dei suoi poteri. Anche per questo saranno importanti le parole che pronuncerà Roberto Cingolani in quello che si annuncia come un bilancio della sua esperienza da ministro.