Un miliardo di dollari al giorno. Più o meno è questa la cifra necessaria per riuscire a combattere un fenomeno non sempre facile da osservare ma che sta avvenendo a velocità preoccupante: la desertificazione dei territori e il degrado dei suoli. Nel mondo oggi il 40% di tutti i suoli risulta degradato: a causa di vari impatti, dalla crisi del clima alla perdita di biodiversità sino all’agricoltura intensiva, i terreni si stanno rapidamente trasformando per via delle attività antropiche. Sono sempre più secchi o incapaci di assorbire acqua, ad esempio, e questo si traduce in enormi difficoltà per l’umanità: dalle conseguenze che i suoli impoveriti possono mostrare quando si verificano le alluvioni estreme sino all’impossibilità di coltivare. Solo dal 2000 la siccità è aumentata di quasi il 30% e le proiezioni ci dicono che entro il 2050, tre persone su quattro nel mondo potrebbero essere colpite da fenomeni siccitosi.

A Riad la Cop16 per cercare “miliardi contro degrado e siccità”

Entriamo dunque in un “decennio cruciale”, l’ultimo rimasto per invertire la rotta prima che la situazione si aggravi ulteriormente: così lo hanno definito delegati ed esperti riuniti da inizio settimana a Riad, in Arabia Saudita, dove è in corso la Cop16 per la lotta alla desertificazione, summit a guida dell’UNCCD (l’organo dell’Onu che porta avanti la convenzione contro la desertificazione) che si concluderà il 13 dicembre. Proprio nel rapporto decisivo presentato a inizio conferenza l’UNCCD ha spiegato come da qui al 2030 saranno necessari almeno 2,6 trilioni di dollari di investimenti totali, e dunque quasi un miliardo al giorno, per provare a ripristinare i terreni degradati e rafforzare la resilienza alla siccità. Già oggi, a causa di terreni desertificati e degradati in tutto il mondo, compresa la nostra Sicilia dove l’acqua continua a scarseggiare e l’impoverimento dei terreni aumenta, sempre più persone devono fare i conti con la perdita di terreni un tempo sani.

Si stima che la desertificazione possa avere conseguenze per oltre 3,2 miliardi di persone: come sempre a pagare il prezzo più alto sono quelle meno abbienti, comunità indigene, famiglie rurali, piccoli agricoltori e soprattutto giovani e donne. Motivo per cui – ricordano i delegati riuniti a Riad, soprattutto in vista della Giornata mondiale dedicata al suolo (World Soil Day) – bisogna trovare in fretta i fondi e continuare ad agire. Come ha detto Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’UNCCD, “per proteggere vite e mezzi di sostentamento, dobbiamo aumentare significativamente gli investimenti nel ripristino del territorio. I ritorni, sia finanziari che sociali, sono innegabili. Ogni dollaro investito in terreni sani è un dollaro investito in biodiversità, clima e sicurezza alimentare. La buona notizia è che il mondo potrebbe risparmiare miliardi all’anno e guadagnare trilioni in più ripristinando la salute del territorio e rafforzando la resilienza alla siccità”.

Un trapianto di funghi per far nascere nuovi boschi

L’altra “buona” notizia è che i finanziamenti dedicati a combattere la desertificazione sono in aumento: siamo passati dai 37 miliardi di dollari del 2016 a 66 nel 2022. Però sono pochi, troppo pochi: per riuscire davvero a ripristinare i terreni servirebbero appunto tra il 2025 e il 2030 almeno 355 miliardi di dollari all’anno. Anche perché ad oggi, stimano dall’Onu, a causa del degrado dei territori e della siccità l’economia globale paga già un costo di 878 miliardi ogni anno, molto di più degli investimenti necessari per affrontare questi problemi. Costi che si traducono in riduzione dei raccolti e della produttività agricola, in perdite di biodiversità e di acqua.

Alla Cop16 di Riad, nella speranza di un maggior successo rispetto alle Cop su Biodiversità e Clima, oppure al fallito negoziato sul Trattato globale sulla plastica, la questione finanziaria sarà centrale e l’urgenza sarà puntata sullo sbloccare gli investimenti da parte del settore privato, che oggi contribuisce solo al 6% dei finanziamenti necessari. Il mix di contributi pubblici e privati sarà decisivo anche per agire concretamente in Africa, il continente del futuro anche per investimenti, ma dove oggi servirebbero almeno 191 miliardi ogni anno per ripristinare 600 milioni di ettari di terreno degradato. Lì, come altrove, è come se perdessimo 100 campi da calcio di terra sana ogni minuto. Non solo: senza azione, le rese dei raccolti potrebbero diminuire del 50% in alcune regioni in meno di 25 anni, portando alla fame sempre più persone.

“Il modo in cui gestiamo il nostro territorio oggi determinerà direttamente il futuro della vita sulla Terra” ha aggiunto Ibrahim Thiaw ricordando come il 2023 è stato l’anno più secco degli ultimi tre decenni per i fiumi del mondo. Ancor più chiaro lo scienziato svedese Johan Rockström che da Riad spiega come “siamo attualmente a metà del decennio decisivo che molto probabilmente determinerà il futuro dell’umanità per molte generazioni a venire”. Senza interventi, la siccità probabilmente entro il 2050 colpirà il 75% della popolazione mondiale, motivo per cui è necessario impegnarsi sui fronti della “riforestazione”, della “gestione dei pascoli” e in generale su “interventi basati sulla natura”. Anche perché, denunciano 60 Ong guidate dal movimento Save Soil, se non aumenteranno i finanziamenti per sostenere gli agricoltori nel ripristino dei suoli circa 1,5 miliardi di persone avranno problemi di sostentamento. Bisogna dunque mettere a disposizione più fondi, assicurando però un pari “trattamento ad Asia e Americhe nel ricevere le stesse priorità dell’Africa”, così come lavorare su prevenzione e sostegno all’agricoltura rigenerativa.

In Italia perdiamo 20 ettari di suolo ogni giorno

Attenzione necessaria però anche per Paesi del Mediterraneo, come l’Italia dove oggi oltre un quinto del territorio è a forte rischio desertificazione e dove, in aree come la Sicilia, le percentuali di rischio sono oltre il 70%. Nel nostro Paese, secondo l’ultimo rapporto Ispra, ogni giorno perdiamo 20 ettari di suolo, soprattutto in aree come Lombardia o Emilia-Romagna. Perdere la capacità di assorbire e trattenere l’acqua è qualcosa che costa al Paese quasi 400 milioni di euro all’anno. Non solo: abbiamo anche sempre meno disponibilità di aree verdi nei centri urbani e meno di un terzo dei cittadini riesce a raggiungere un’area verde pubblica (di almeno mezzo ettaro) entro 300 metri a piedi. Lungo tutto lo Stivale ogni anno cementifichiamo 70 chilometri quadrati di territorio e, secondo i dati forniti dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), è come se ogni anno in Italia spuntasse una nuova città grande quanto Napoli.

Nuove tecnologie per aumentare adattamento e resilienza

Per noi, come per gli altri Paesi del mondo in difficoltà per un degrado di territorio che sta “minando la capacità della Terra di sostenere l’umanità” ricordano le istituzioni riunite a Riad, oltre a fondi e investimenti che coinvolgono di più i privati sarà necessario anche l’implemento di nuove tecnologie, sia per il risparmio idrico sia per migliorare la salute dei terreni. Proprio a Riad sono già stati presentati alcuni strumenti utili per il futuro: per esempio il Centro di ricerca congiunto della Commissione europea (Jrc) ha lanciato l’Atlante mondiale della siccità, capace di evidenziare i rischi sistemici della siccità nei settori dell’energia, l’agricoltura o i trasporti. Oppure l’International Drought Resilience Alliance (Idra) ha mostrato il prototipo dell’International Drought Resilience Observatory (Idro): grazie all’intelligenza artificiale questa piattaforma fornisce informazioni essenziali per l’adattamento e permette di potenziare le conoscenze per agire concretamente, giocando di anticipo, contro le nuove sfide dettate dalla siccità.