L’invasione delle forze armate russe dell’Ucraina, decisa e attuata dal regime autoritario di Putin, non può essere né giustificata, né tollerata, ma va contrastata perché occupando con la forza un Paese sovrano viola la legalità internazionale – uno dei pochi e fragili presidi della pace – e perché causa morte, distruzione e sofferenza, minacciando gravemente la vita, la libertà, il presente e il futuro della popolazione ucraina.
A fronte di simili aggressioni, i popoli attaccati hanno il diritto di difendersi, di resistere anche con la forza delle armi, di non arrendersi alla violenza degli aggressori. Quando chi genera simili aggressioni non trova resistenza, non solo non cessa di aggredire, ma – la storia purtroppo è piena di esempi – viene incoraggiato a ripeterle, estendendo le guerre e aumentando le minacce per la pace. Gli appelli alla pace, purtroppo, non hanno alcuna efficacia, non sono in grado di fermare l’aggressione dell’armata di Putin che – a conferma della sua pericolosità per la pace in Europa – non esita ad invocare la minaccia nucleare. L’accoglienza dei profughi ucraini, costretti a lasciare le loro città aggredite, deve essere piena e senza concessioni alla retorica anti immigrati e il sostegno alla popolazione ucraina deve essere concreto e, soprattutto, rapido.
L’iniziativa diplomatica può contribuire a tenere aperti spazi di trattativa o, almeno, a cercare di limitare i rischi di ulteriore estensione di questa guerra, senza subire le minacce dell’aggressore. L’attenzione, l’informazione e la mobilitazione dei cittadini sono importanti fattori per limitare i danni e le barbarie della guerra, specie se si sviluppano, come sta avvenendo, anche in Russia. Indispensabili anche adeguate sanzioni economiche che, pur se non sono prive di controindicazioni, rappresentano uno strumento non militare necessario per indebolire il regime aggressore e ridurre i mezzi economici e di consenso a sostegno della sua macchina bellica.
Il gas e il petrolio rappresentano più della metà dell’export russo e sono di gran lunga le fonti più importanti del finanziamento del regime di Putin e della sua macchina militare. Anche l’Italia, come il resto dell’Europa, importa una parte rilevante di questo gas e, in parte molto minore, anche del petrolio: circa il 40% del gas consumato in Italia – pari a circa 30 miliardi di metri cubi – è fornito al nostro Paese dalle imprese russe controllate da Putin e dai suoi amici.
Questa dipendenza dal gas russo è anche uno dei fattori alla base della fortissima crescita dei prezzi di questo combustibile fossile e del traino verso l’alto anche di quelli del petrolio. È possibile che la guerra generi, specie in Europa, una crisi energetica che ci obblighi a misure di emergenza simili a quelle adottate durante la crisi petrolifera degli anni settanta. Per cercare di prevenirla o almeno di limitarne i danni e avere un ruolo attivo nelle sanzioni contro il regime di Putin e il suo apparato militare, sarebbe bene definire e rendere operativo un piano energetico di emergenza che, il più rapidamente possibile, consenta di tagliare in modo consistente l’importazione in Italia di gas russo. Propongo tre scelte di fondo per questo piano che si basano sull’efficacia e sulla coerenza con la strategia della transizione alla neutralità climatica permettendoci, per quanto possibile, di rispondere a un’emergenza affrontandone anche un’altra, quella climatica.
La prima scelta è la riduzione dei consumi di gas, che può basarsi anche su un’attiva collaborazione dei cittadini e delle imprese. Negli edifici, residenziali e commerciali, in Italia si consumano ogni anno circa 30 miliardi di metri cubi di metano e altri 14 miliardi di metri cubi ne consuma il settore industriale. Si potrebbero attivare misure urgenti per aumentare il risparmio e l’efficienza energetica rivedendo e rendendo più efficace l’applicazione dell’ecobonus e dei certificati bianchi, anche introducendo nuovi obblighi e misure di sostegno agli investimenti per la riduzione dei consumi energetici in alcuni settori energivori, aumentando il peso delle rinnovabili termiche e dell’elettrificazione tanto negli edifici quanto nell’industria. Con queste misure in questi due settori si potrebbero arrivare a tagliare, in pochi anni, fino al 15-20% dei consumi di gas, ossia tra 6,5 e 9 miliardi di metri cubi.
La seconda scelta è quella di varare un programma straordinario di emergenza per la rapida crescita delle rinnovabili per la generazione elettrica, recependo la recente proposta di Elettricità futura, l’associazione confindustriale delle imprese del settore, di realizzare 60 GW di impianti rinnovabili nei prossimi tre anni: ci sono le capacità industriali, i progetti e i finanziamenti, mancano solo le autorizzazioni. Con questo piano di rapido sviluppo delle rinnovabili, grazie alla forte accelerazione delle procedure per le autorizzazioni, si potrebbe tagliare l’importazione di 15 miliardi di metri cubi di gas oggi utilizzati per produrre energia elettrica. Un impegno di questa dimensione rafforzerà anche la filiera industriale nazionale e trainerà anche lo sviluppo degli investimenti nella rete e negli accumuli.
La terza scelta è imprimere un forte sviluppo della produzione di biogas e di biometano. Oggi in Italia si producono circa 2,4 miliardi di metri cubi di biogas e biometano da 1.500 impianti di digestione anaerobica (1.300 di scarti e deiezioni animali gli altri per i rifiuti urbani organici e verdi). I potenziali di espansione di biogas e di biometano sono rilevanti, la tecnologia è disponibile e ampiamente utilizzata: si potrebbero triplicare il biometano generato dal trattamento della frazione organica dei rifiuti, raddoppiare quello ricavato da scarti agricoli e deiezioni animali e avviare la nuova filiera con grandi potenziali di trattamento dei fanghi organici da depurazione. In pochi anni si potrebbero arrivare a produrre tra gli 8 e i 10 miliardi di metri cubi di biometano e biogas, che potranno sostituire una parte consistente delle importazioni di metano.
Queste tre scelte – per l’efficienza e il risparmio energetico, per un rapido sviluppo delle rinnovabili elettriche e per una consistente crescita della produzione di biogas e di biometano – potrebbero consentire, insieme ad una limitata rimodulazione dell’import di metano da altre provenienza con le gasiere e con la TAP, di azzerare le importazioni di gas dalla Russia riallineandoci al tempo stesso con la traiettoria europea di riduzione delle emissioni di gas serra del 55% al 2030.
(*Edo Ronchi è Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile)