Ho la sensazione che si stia facendo confusione, forse presi un po’ dal panico per ciò che abbiamo causato. Sappiamo che la nostra impronta sul pianeta è incredibilmente pesante ma il panico ci porta a tentare di risolvere gli scompensi causati mettendo delle pezze invece di andare diritti alla fonte del problema. Si rischia, in questo modo, di falsare il periodo storico che stiamo vivendo con l’illusione di aver preso per mano il futuro dei nostri figli senza in realtà aver fatto nulla di concreto. La Cop 26 è stata giudicata un mezzo fallimento, un bicchiere colmo di auspici, ma povero di impegni concreti. Anche in questa occasione, però, una voce si è alzata verso la necessità di piantare alberi nel mondo, addirittura diverse centinaia di miliardi di alberi.
Perché l’albero – e questo è ineluttabile – è uno strumento di naturale mitigazione del contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera grazie al fatto che con quell’anidride carbonica la pianta vive, costruisce quelle sostanze che ne permettono la crescita. È sufficiente piantare miliardi di alberi entro il 2030? Qualcuno usa l’aritmetica e rivela che ogni giorno si dovrebbero piantare decine di milioni di alberi in ogni dove per raggiungere risultati così ambiziosi. Di certo rappresentano lo strumento che più rapidamente ci permetterebbe di rasserenare la coscienza.
Sappiamo bene, però, che l’unico serio contributo per affrontare la crisi climatica viene dal cambio di stile di vita dell’uomo che vive un ecosistema fatto di moltissimi altri esseri viventi. Basterebbe già prendere consapevolezza di essere solo parte di un sistema più complesso per cambiare prospettiva.
Intanto, dovremmo pensare anche alla qualità dei nostri suoli, sempre più degradati dalla chimica di sintesi che mette a dura prova la fertilità e l’attività naturale del sottoterra in cui trova riparo anche una buona fetta della anidride carbonica che produce l’uomo. Il suolo è una risorsa non rinnovabile, può avere natura diversa e cambiare le sue caratteristiche ma solo l’uomo con modelli di gestione non sostenibili ne può alternare irrimediabilmente le funzioni. La difesa della qualità dei suoli, della loro struttura fisica e chimica, è strumento di rafforzamento della loro capacità di trattenere il carbonio. Così come i nostri mari, spesso abbandonati all’inquinamento e al degrado causato dalla pesca industriale che distrugge la sua vegetazione, ignorando che è fondamentale per l’ossigeno del pianeta. E allo stesso modo i pascoli polifiti permanenti, che dovremmo sempre più rafforzare facendo uscire gli animali dalle stalle intensive in cui non c’è mai alcun rispetto per il bestiame. Anche questa parte importante del nostro ecosistema può giocare un ruolo significativo nella mitigazione dell’effetto dell’emissione di gas serra in atmosfera.
Dunque, alberi si, certamente, ma anche altro. E sarebbe un errore concentrarsi sul numero di alberi perché bisogna soprattutto pensare al come. Piantare un albero sbagliato potrebbe fare un danno invece che garantire un vantaggio. Non si può pensare di costruire un’azione di diffusione così capillare della presenza di alberi nel pianeta senza parlare di una corretta pianificazione che parta dalla scelta della specie e dall’analisi della vocazionalità ambientale. Ogni ambiente ha le sue caratteristiche, ogni specie arborea vive bene in determinati ambienti. E poi c’è la biodiversità strumento centrale per il contrasto al cambiamento climatico, sia quando parliamo della biodiversità coltivata che quando parliamo della biodiversità arborea che ci aiuta a mitigare le nostre cattive abitudini di abitanti del pianeta. Piantare alberi senza una corretta pianificazione significa rischiare di compromettere la buona azione che vogliamo compiere facendone pagare le conseguenze all’efficienza del sistema.
Forse dovremmo pensare agli oltre settecento milioni di alberi persi in un anno a causa della deforestazione dell’Amazzonia per comprendere che le azioni dell’uomo dovrebbero mostrare coerenza. Da un lato assistiamo in silenzio alla perdita progressiva di uno dei più importanti polmoni del pianeta, da un altro lanciamo sfide al cambiamento climatico affermando che lo sconfiggeremo ricoprendo di alberi le terre di ogni angolo del globo, magari mettendo nel conto anche quelle che abbiamo appena deforestato.
E nel percorso della pianificazione c’è anche la cura degli alberi, un aspetto che chiunque pianti un albero dovrebbe conoscere ancor prima di scavare la buca. Un albero non curato è un albero destinato a diventare un costo per la comunità ancor prima che un vantaggio, aumenta i rischi di diffusione del fuoco in caso di incendio, è più sensibile alle azioni del vento, può essere agente di diffusione di malattie.
Pianificare significa darsi obiettivi chiari: cosa piantare, come prendersi cura e, non ultimo, dove piantare. Dobbiamo evitare che la forestazione porti ad una riduzione degli spazi per l’agricoltura. Il governo inglese, ora che con la Brexit non può dare garanzie di sostegno ai propri agricoltori attraverso la Pac, sta costruendo un proprio piano di azione che, per l’appunto, destinerà un terzo dei sostegni a chi impianta alberi. Con sconcerto per gli agricoltori che sarebbero anche pronti a fare la loro parte per una corretta transizione ecologica ma vorrebbero che i sostegni vedano al centro una visione agroecologica. E così si innescano le battaglie che non ci servono. Tutta l’agricoltura, quella basata su modelli agroecologici, quella sostenibile nei confronti del suolo, degli animali, delle risorse naturali, gioca a vantaggio della transizione ecologica. Quindi diamo la possibilità anche agli agricoltori di fare la propria parte con le loro abilità e le scelte virtuose che possono fare, magari sostenuti da un Piano strategico nazionale che ne tenga conto.
Pensiamo di pianificare per bene l’impianto dei nostri alberi, a cominciare da una sostanziale riscrittura del nostro modo di pensare gli ambienti urbani, i luoghi da cui si dovrebbe iniziare.
* Fondazione Slow Food e Docente all’Università di Palermo