Qual è il colmo per la più importante riunione al mondo sul clima? Essere presieduta da un petroliere. Non è una vecchia battuta da libro delle barzellette, è la triste realtà. La prossima Cop – la Conferenza delle parti, l’assemblea globale che ha portato agli accordi di Kyoto e di Parigi, giunta nel 2023 alla 28esima edizione – si terrà a dicembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. E il presidente, nominato giovedì, è il sultano Ahmed Al Jaber, che di professione fa l’amministratore delegato dell’Abu Dhabi National Oil Company, il gigante petrolifero dello stato arabo. Sarà lui a guidare i negoziati, a impostare l’agenda, a limare gli accordi. Sarà la prima volta che una Cop in 30 anni di storia viene presieduta da un uomo d’azienda.
Da decenni la Cop si sforza di trovare soluzioni al climate change causato dal nostro uso spropositato di carburanti fossili: ora viene data in mano a un petroliere. C’è da diventare matti. È come se a un’assemblea per salvare dall’estinzione tutti i Beep Beep del mondo mettessimo a capo Willy il coyote. È come se consegnassimo l’anello direttamente a Sauron, il cattivone del Signore degli Anelli, sperando ne faccia buon uso. I paralleli potrebbero continuare all’infinito, ma ecco uno ben più serio: è come se a un convegno sul cancro ai polmoni invitassimo a coordinare i lavori l’industria delle sigarette.
Certo, il curriculum di Al Jaber non è completamente nero petrolio. Ha abbracciato l’idea della decarbonizzazione e vuole guidare gli Emirati Arabi verso la neutralità climatica entro il 2050. Oltre a essere a capo dell’ADNOC, dove ha investito 15 miliardi nella decarbonizzazione, e presidente di Masdar, la seconda azienda più grande dedicata all’energia rinnovabile, è anche ministro dell’industria e dell’innovazione tecnologica per il suo Paese. L’UAE è il primo paese arabo è il primo ad aver ratificato gli Accordi di Parigi del 2015 e il governo ha assicurato che il suo approccio sarà “pragmatico e inclusivo”.
Ma i dubbi rimangono. Perché conosciamo i precedenti degli ultimi anni: la scorsa Cop, la numero 27, si è tenuta in Egitto, uno dei Paesi meno liberi al mondo. Una passerella per il regime di Al-Sisi, che non ha concesso nulla alle opposizioni. Non solo: l’Egitto e l’Unfccc, la piattaforma dell’Onu che assegna ogni anno l’evento (senza nessun criterio etico, questo è il vero problema) hanno accettato il peggiore degli sponsor: la Coca-cola, che è l’azienda che genera più rifiuti al mondo. Non bastasse: quali erano le due delegazioni più corpose presenti a Sharm el-Sheikh? Al primo posto proprio gli Emirati Arabi, produttori di petrolio, con 1060 persone. E al secondo posto non uno stato bensì una categoria: 636 lobbisti delle aziende petrolifere. E come è finita l’assemblea? Salvando lo status quo e facendo poco e nulla per eliminare dalle nostre vite carbone, gas e petrolio.
Molte le reazioni alla notizia. Global Witness parla di “colpo durissimo” alla credibilità della prossima Cop. Action Aid sostiene che ormai big oil sta prendendo il controllo delle processo decisionale dell’assemblea. Greenpeace si dice “allarmato”, perché non dovrebbe “esserci posto per le fonti fossili all’interno dei negoziati”. E Fridays for future ha commentato caustico: “Cosa creiamo meme a fare?” come a dire che la realtà è, appunto, meglio delle possibili battute.
Per molti anni le Cop sono state le occasioni per provare a cambiare il mondo. Ora si stanno trasformando in farsa. Come ripetere all’infinito una parola fino a svuotarla di significato e senza ricordarsi perché si è iniziato a pronunciarla. Chiamiamo il problema Apocalisse, o crisi, o anche solo cambiamento climatico. Chiamiamolo come vogliamo, ma certo da tutto questo non ci salverà un petroliere.