BAKU. A tutti voi sarà capitato di leggere: la “geoingegneria ha scatenato le inondazioni di Valencia”, il “cambiamento climatico non esiste” oppure “c’è sempre stato e non dipende dall’uomo”, o ancora che la crisi del clima è “causata dall’attività solare”. Tutte bufale, veicolate soprattutto attraverso le piattaforme dei big tech. Per questo durante la Cop29 e dopo la rielezione del negazionista Donald Trump, e mentre il prestigioso giornale The Guardian ha deciso di abbandonare quell’X di Elon Musk che continua a veicolare false informazioni, un gruppo di quasi cento scienziati ed esperti di clima ha deciso di lanciare un appello per chiedere ai governi di agire contro la disinformazione climatica nei social media.
In totale 93 esperti – fra cui lo scienziato Michael E. Mann, autore del bestseller The New Climate War – insieme ad alcune organizzazioni hanno firmato una lettera della coalizione Climate Action Against Disinformation (CAAD), diffusa in questi giorni a Baku, in cui viene chiesto uno sforzo unitario per fermare quella “disinformazione sul clima, spesso perpetrata da interessi privati, che mina l’azione climatica e mette a rischio il nostro futuro”.
L’appello mira in maniera specifica a contrastare l’enorme quantità di bufale, post e video negazionisti che circolano su social come X, Facebook o YouTube. “I governi devono anche incoraggiare le aziende di social media, i fornitori di tecnologia pubblicitaria e gli editori a essere responsabili e smettere di agire come facilitatori della distruzione planetaria” si legge nel testo della missiva, firmata anche dal Wwf. Alle piattaforme viene chiesta in sostanza “maggiore responsabilità” ricordando come le narrazioni fuorvianti per esempio indeboliscono gli sforzi positivi per “decarbonizzare e favorire le energie rinnovabili”.
Le organizzazioni e gli esperti che aderiscono alla richiesta sottolineano inoltre come il modus operandi di chi nega la crisi del clima, o semplicemente alimenta teorie complottiste, sia ormai chiaro. Account che usano video di incidenti isolati per esempio per mettere in dubbio l’affidabilità delle turbine eoliche o dei pannelli solari, oppure il “work-washing”, una tecnica con resoconti scettici sul clima che servono per sradicare alcune verità scientifiche. O ancora le teorie cospirative, quelle per esempio che sfruttando tecniche reali – come il cloudseeding (sistema artificiale per generare pioggia) – accostano a questo metodo ogni grave evento meteo estremo che si verifica.
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Non solo, nel rapporto del CAAD c’è anche un focus per esempio sul fatto che alcuni social media facciano profitti grazie alle pubblicità dei combustibili fossili e contemporaneamente agevolino teorie disfattiste sulle rinnovabili. Si stima come tra ottobre 2023 e ottobre 2024 le aziende di combustibili fossili e i gruppi industriali abbiano speso circa 17,6 milioni di dollari sulle piattaforme Meta, generando oltre 700 milioni di impressioni. Pubblicità che “rivestono di verde” le industrie fossili, descrivendo gas, petrolio e carbone spesso come ” necessari” (per la transizione e non solo). Poi ovviamente ci sono i super diffusori: influencer o personalità che tramite i social media, con post per esempio critici sulle rinnovabili, arricchiscono una narrativa anti-energie pulite, proprio quelle che – come si è deciso alla Cop scorsa – dovrebbero essere invece “triplicate”.