Nel lungo periodo l’invasione russa in Ucraina potrà servire a dare impulso alla produzione di energia rinnovabile. Ma nell’immediato possiamo aspettarci che il gas russo e ucraino continuino ad arrivare in Italia, sebbene con qualche intoppo. Davide Tabarelli, fondatore e presidente dal 2006 di NE-Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia, e docente all’Università di Bologna, aiuta a capire in che modo la crisi attuale potrà orientare le scelte italiane nel settore dell’energia.
Professore, perché non si sono cercate prima alternative, pur sapendo che era un rischio dipendere in maniera così ampia da un solo fornitore?
“Perché per 50 anni l’Unione Sovietica prima e la Russia poi sono state in realtà il fornitore più affidabile, grazie a grandi riserve a basso costo e a una estesa linea di trasporto, proprio perché l’Urss aveva puntato moltissimo sull’estrazione di gas. Così ora il 35% di tutta la nostra domanda di energia è soddisfatto dalla Russia. Nessuno può permettersi di chiudere i rubinetti dalla Russia, infatti la presidente dell’Unione Europea ha già detto che le sanzioni non riguarderanno gas e petrolio: non dimentichiamo che è dal 2014 che ci sono le sanzioni, ma, appunto, non hanno incluso il gas”.
Ci sono tuttavia azioni da intraprendere per non farsi cogliere impreparati?
“Dire che i rubinetti non verranno mai chiusi è appunto una scommessa. Possiamo prevedere che nei prossimi venti anni la Russia continuerà a esportare in Europa attraverso il gasdotto Nord Stream, perché conviene a lei e a noi. Però quella che si è aperta in questi giorni è una ferita profonda, che per la prima volta ha causato gravissimi problemi, non solo per il costo di vite umane che ogni guerra implica”.
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(Il deficit energetico dell’Ue sale a causa della crisi ucraina)
Quali?
“Sotto un certo punto di vista possiamo dire che lo shock maggiore si è avuto il mese scorso, quando sul mercato si è passato il peggio per i rincari dei prezzi. In questi giorni, nonostante l’invasione, controllo ogni mattina i flussi di gas e sono regolari. Ma non possiamo ignorare che pur se le forniture ci sono, abbiamo bollette passate da 60 a 120 euro“.
Quindi, che fare?
“Nessuno può essere contro le energie rinnovabili e prevedo che la crisi porterà un’accelerazione degli investimenti e della creazione di impianti. Tuttavia abbiamo bisogno immediato di impianti che ci diano energia ad alta densità, ce lo impone la fisica, e quella ancora non riusciamo ad averla in toto dalle rinnovabili. Per questo dico che dovremmo tenerci strette le centrali a carbone e le montagnette di carbone, sono la nostra unica salvezza in caso di crisi. Tra l’altro in Italia abbiamo ottime centrali con sistemi avanzati di filtraggio”.
Ma questo non significa venire meno agli accordi di Glasgow e interrompere la lotta al cambio climatico?
“Ripeto, il futuro sono le rinnovabili, soprattutto in Italia dove siamo sempre stati poveri di fonti fossili. Mi piace ricordare che abbiamo un 40% di energia proveniente dall’idroelettrico, con impianti costruiti in gran parte tra le due guerre, in nome dell’autarchia. Siamo obbligati a investire sulle rinnovabili, proprio perché i prezzi alti del gas rendono economiche le fonti alternative. Ma nell’immediato, ed è questione di fisica, l’energia che ci forniscono è intermittente”.