Sotto la dicitura “rifugio” ci sono ormai sia strutture di lusso con camere private, spa e cucina gourmet – realizzate per accontentare una clientela sempre più esigente – sia luoghi decisamente più spartani con camerate, doccia (a volte fredda) a pagamento e piatti casalinghi. Se qualcuno, magari non molto avvezzo alla montagna, la prima volta si è trovato in un rifugio della prima, molto più recente, tipologia, potrebbe sentirsi disorientato nel momento in cui dovesse soggiornare in quello che corrisponde alla seconda, più tradizionale, ovvero di edificio in un luogo difficilmente raggiungibile, dove non tutti i servizi che in città diamo per scontati possono essere disponibili.
Cibo e rifiuti
Più è difficile per noi raggiungere un luogo, più lo sarà anche per le vettovaglie: nel caso in cui la struttura non possa essere raggiunta in auto o in funivia, poi, potrebbe essere impossibile gustare piatti o cocktail particolari, o magari un gelato – se serve molto tempo per arrivare, è facile immaginare cosa potrebbe accadere a dei surgelati. Stesso discorso per i rifiuti: cerchiamo di minimizzare quelli prodotti, portiamoli a valle in un sacchetto dentro o fuori dallo zaino e differenziamoli a casa. Nel caso di intolleranze, allergie o diete particolari, meglio fare una telefonata prima al gestore e informarsi: spesso le cucine dei rifugi sono piccole, il menù non sterminato, sapere prima se ci siano piatti adatti a noi è sicuramente più piacevole che arrivare sul posto e scoprire che non è così.
Il problema dell’acqua
Non tutti i rifugi possono godere di fresche sorgenti da cui poter attingere, o di un collegamento alla rete idrica. A volte l’acqua arriva da torrenti, laghi, dalla fusione della neve, oppure viene trasportata per via aerea o terrestre. In ogni caso è una risorsa limitata, da non sprecare. Non dovremmo considerare il rifugio come un punto d’arrivo e quindi munirci di acqua solo per arrivare lì, ma assicurarci di averne un po’ di più – ed eventualmente integrarla sul posto. Se pernottiamo, portiamo con noi il sacco lenzuolo e l’asciugamano, non tutti i rifugi ne sono provvisti e in ogni caso il loro lavaggio richiede una quantità elevatissima d’acqua. Dobbiamo poi essere disposti a modificare le nostre abitudini: se siamo abituati a fare la doccia tutti i giorni, questo in rifugio non è sempre possibile. Nemmeno ottenere acqua calda lo è, perché richiede molta energia, o abbondare con sapone e shampoo: pure la gestione dell’acqua in uscita a volte è complicata. Ricordiamo sempre che la nostra escursione in fondo ha una durata limitata, possiamo lavarci a pezzi, utilizzare salviette umidificate, e fare una doccia più “purificante” e ristoratrice una volta a casa.
Rete o non rete, questo è il dilemma
In montagna a volte il cellulare non prende o prende poco, il wifi in rifugio è cosa rara: godiamo del panorama, delle chiacchiere con i compagni d’escursione o di tavolo, e rinunciamo già in partenza all’idea di essere sempre connessi per ricevere le mail di lavoro o caricare storie. Se la copertura telefonica è scarsa, il POS potrebbe non funzionare, stessa cosa se ci dovesse essere un blackout: meglio portare sempre un po’ di contanti con sé.
Dormire in bivacco
Partiamo dalla base: dormire in bivacco è una pratica riservata agli alpinisti durante vie lunghe e impegnative o agli escursionisti, che lo usano in caso di emergenza o come tappa per trekking di più giorni. Sono strutture molto spartane, senza gestore e gratuite (ma è buona cosa lasciare un’offerta per chi le mantiene agibili), in genere con brandine di ferro, sottili materassini in gommapiuma, qualche coperta, un piccolo tavolo: la dotazione è ridotta al minimo. Raramente i bivacchi sono dotati di elettricità, a volte non hanno stufe o fornelli a gas, non c’è il bagno, non c’è acqua. È fondamentale ricordare che si tratta di un ricovero d’emergenza: bisogna trattarlo come tale e cercare di lasciarlo libero per chi ne avesse bisogno, prediligendo i rifugi qualora si desiderasse trascorrere una notte in montagna.