I modelli climatici prevedono che, a causa del riscaldamento globale, aumenterà la forza dei cicloni tropicali, uragani e tifoni. Il futuro, però, forse non è il tempo verbale giusto. Stando a uno studio pubblicato su Nature, infatti, questa tendenza sarebbe già cominciata e sarebbe evidente nei dati raccolti sugli oceani negli ultimi trent’anni.
Perché i cicloni si formano dove è caldo
I cicloni nascono nelle regioni tropicali in corrispondenza di una perturbazione, ovvero in una regione di bassa pressione, quando la temperatura dell’acqua dell’oceano supera i 27 gradi. La temperatura è una variabile fondamentale, perché l’energia che alimenta un ciclone proviene dal calore rilasciato dal vapore acqueo quando condensa. Il primo ingrediente, quindi, è la presenza di uno spesso strato di aria calda e umida sopra l’oceano. Il secondo, è la creazione di correnti d’aria che si muovono alla stessa velocità e direzione dalla superficie fino agli strati più alti dell’atmosfera. Ancora una volta, l’aria umida e calda è più instabile e quindi favorisce la formazione di correnti convettive che raggiungono l’alta atmosfera. L’ultimo ingrediente, infine, è la rotazione: questa è impartita dalla rotazione terrestre attraverso una forza, chiamata forza di Coriolis, nulla all’equatore ma sufficiente a innescare un moto a vortice dell’aria già a 500 km da esso, e quindi nelle regioni tropicali.
L’aumento dell’intensità con il riscaldamento globale
Misurare la forza del vento nella regione di formazione di un ciclone, e seguirne l’evoluzione, non è semplice. Non con la strumentazione che si usa in condizioni normali vicino alla superficie dell’acqua, o con i satelliti. Innanzitutto, perché spesso i cicloni si formano lontano dalle coste, in secondo luogo perché gli strumenti di misurazione diretta sono limitati ad alcune regioni oceaniche e quindi non consentono di raccogliere sufficiente statistica e infine perché, spesso, sono inadatti rispetto alle condizioni atmosferiche e alla forza del vento raggiunta.
Nello studio, quindi, è stata sfruttata la relazione che lega la velocità delle correnti oceaniche e le forze che i venti esercitano sulla superficie dell’oceano. Le correnti oceaniche vicino alla superficie, proprio in risposta al rapido insorgere di forti venti, raggiungono velocità estremamente elevate in un ciclone tropicale. I ricercatori hanno misurato la velocità del vento sulla superficie dell’oceano utilizzando una vasta rete di dispositivi galleggianti chiamati drifter, che si muovono con le correnti oceaniche, raccogliendo un record di 84.110 misurazioni durante i cicloni tropicali avvenuti tra il 1991 e il 2020.
È risultato, in modo chiaro, che le correnti oceaniche sotto i cicloni tropicali si sono rafforzate negli ultimi decenni. Una tendenza all’aumento in linea con l’aumento delle temperature globali e che riguarda tutti i bacini oceanici in cui si verificano queste tempeste. Gli autori, grazie a una buona copertura di drifter nell’Oceano Pacifico settentrionale, hanno concluso anche che il riscaldamento globale intensificherebbe i cicloni di tutte le intensità, anche se quelli classificati come “deboli” sono i più comuni in quest’area. Sono quelli che, quando si avvicinano a terra, diventano tempeste tropicali o uragani di categoria 1.