Micro e nanoplastiche sono state ritrovate nell’acqua degli oceani, nel ghiaccio artico e antartico, e fino ai picchi più remoti (compreso l’Everest). Sono ovunque, anche nell’aria che respiriamo e nel cibo che mangiamo. Gli studiosi ne hanno trovato conferma in campioni di carne bovina e suina e nel latte delle mucche, trovando tracce anche nel nostro sangue e nelle feci.

Non c’è da stupirsi, quindi se i frammenti di meno di un micrometro si possono rintracciare in tutti gli elementi della catena alimentare. Quel che finora non era chiaro sono i meccanismi di trasferimento negli alimenti che finiscono sulla nostra tavola: ad esempio le 300 mila tonnellate di particelle che ogni anno ricevono le campagne americane ed europee attraverso (oltre alla dispersione aerea) irrigazione, fanghi e residui della pacciamatura. Uno studio eseguito da un team di ricercatori della Uef, l’Università della Finlandia Orientale, ha però ricostruito ogni passaggio del materiale inquinante dalla terra al piatto, dimostrando come le nanoplastiche passino dal suolo alle piante e quindi agli insetti, per poi essere ingeriti dai pesci.

Per capirlo gli esperti hanno studiato le piante di lattuga esposte a suoli contaminati per 14 giorni. Le foglie sono state usate come nutrimento per le larve di mosca soldato nera (Hermetia illucens), a loro volta date in pasto dopo cinque giorni al pesce rutilo (Rutilus rutilus, o gardon). Un volta analizzato, il pesce ha rivelato un accumulo della plastica soprattutto nel fegato.

Per poter rintracciare le microplastiche nell’organismo gli scienziati hanno sviluppato una tecnologia basata sull’impronta metallica, così da rilevare il materiale inquinante grazie a un microscopio elettronico a scansione in ogni gradino della catena trofica, dalle piante al pesce e fino all’interno dei tessuti.

In particolare, i ricercatori sono riusciti a inserire il gadolinio, un componente delle terre rare che viene usato nei mezzi di contrasto, nelle briciole di polistirene e cloruro di polivinile. Le due molecole però non si comportano nello stesso modo e varia la modalità di assorbimento e di trasformazione. In altri esperimenti si è visto per esempio che l’intestino dei lombrichi contiene batteri che degradano il polietilene a bassa densità. Le larve di tarma sono in grado di agire sia sul polietilene che sul polipropilene. La lattuga assorbe dal suolo frammenti di 250 nanometri di dimensione, ma in quantità minore il polistirene rispetto al cloruro di polivinile. 


Quel che è risultato chiaro, secondo gli studiosi, è il percorso risultato simile a quello che caratterizza anche i metalli pesanti e altri inquinanti. Le radici catturano la plastica e la trasferiscono alle foglie, da qui passano alla bocca e all’intestino degli insetti, poi si insediano nell’intestino, nel fegato e nelle branchie dei pesci. Sono assenti invece nel loro cervello.

L’esperimento, anche se limitato a un tipo di ortaggio, conferma l’assorbimento delle nanoplastiche nell’organismo. Quelle rilasciate nel suolo, stando ai dati della Fao, sono da 4 a 23 volte superiori a quelle che finiscono in mare. Le filiere agricole utilizzano ogni anno 12,5 milioni di tonnellate di prodotti in plastica che non vengono smaltite correttamente e inevitabilmente finiscono nel terreno. Da lì possono arrivare dappertutto.