“Siamo tutti favorevoli alle rinnovabili, ci mancherebbe altro. Ma non così”. È l’obiezione alla centrale eolica offshore da una cinquantina di pale che Energia Wind 2020 vorrebbe realizzare nel tratto di Adriatico a Nord-est di Rimini. Un progetto da 330 megawatt (MW) di potenza prevista che per il contesto nazionale appare decisamente ambizioso e che, al tempo stesso, preoccupa non poco associazioni e istituzioni locali. L’azienda si appresta a presentare tre alternative che allontanerebbero le pale ad almeno 16 chilometri dalla costa, ma non è detto che basti a convincere tutti. Perché quella che va in scena nelle acque della Riviera è una contrapposizione ormai annosa: da un lato la riconosciuta “necessità di spingere sulla transizione energetica”, dall’altro una lunga lista di perplessità di ordine economico-turistico, paesaggistico e pure ambientale.

Il progetto

Ma facciamo un passo indietro, e partiamo dall’oggetto del contendere. Energia Wind 2020, società di scopo costituita da due aziende attive nel campo delle energie rinnovabili (la bresciana 3R Energia di Riccardo Ducoli e la foggiana Fortore), punta a installare 51 pale eoliche in un tratto di mare di 71,5 chilometri quadrati antistante la costa tra Rimini e Cattolica. I dati non sono ancora definitivi: quelli appena citati fanno riferimento al cosiddetto “Layout A”, ossia alla configurazione analizzata nella prima fase istruttoria, e sono stati rivisti al ribasso (la prima versione del progetto parlava di 59 “mulini a vento” spalmati in un’area marina di circa 113 chilometri quadrati). La stessa società fa sapere che il numero di pale non è ancora definitivo: in caso di innovazioni tecnologiche, il totale si potrebbe ridurre ulteriormente.

Il progetto. L’area in cui ricadono le alternative (in bianco) con Layout A (in nero) e B (una delle alternative) e opere di connessione 

Pure l’esatta collocazione dell’infrastruttura resta un discorso aperto, almeno parzialmente. Il Layout A propone di disporre le pale su tre archi perpendicolari alla costa: in questo modo le prime turbine si troverebbero a 6 miglia nautiche (circa 10 chilometri) dal litorale mentre le più lontane arriverebbero a ridosso delle 12 miglia nautiche (22,2 chilometri), limite delle acque territoriali. Proprio la vicinanza alla spiaggia rappresenta però uno degli aspetti più contestati: per questo motivo, nella documentazione che l’azienda sta preparando per la Valutazione di Impatto Ambientale si propongono anche tre configurazioni alternative che sposterebbero il progetto verso il largo, tra le 9 e le 18 miglia nautiche (ossia tra i 16 e i 33 chilometri dalla costa). Quest’ultimo limite, fanno sapere i progettisti, è fissato dalle aree di giacimenti di sabbie relitte, ambientalmente sensibili e utilizzate in concessione dalla Regione per i ripascimenti delle spiagge. In ogni caso, sulla posa delle pale oltre il limite delle acque territoriali permangono incertezze sugli aspetti autorizzativi: l’azienda ha chiesto delucidazioni ai ministeri competenti su questo punto, ed è in attesa di risposte.

Il progetto stima di produrre in totale 710 gigawattora (GWh) annui: quanto basta a soddisfare il bisogno di elettricità complessivo di un territorio urbanizzato di 120mila abitanti, stando ai dati forniti dalla stessa azienda. Considerando che la profondità dell’Adriatico nella zona varia tra 14 e oltre 40 metri, le pale dovrebbero svettare per più di 200 metri sul livello del mare. A seconda della configurazione scelta, la centrale si svilupperà complessivamente su un’area di 71,5-80 chilometri quadrati senza però precludere la logica del multiuso: secondo l’azienda, infatti, la disposizione delle turbine lungo archi distanti mediamente 3 chilometri l’uno dall’altro non impedirebbe le attività di navigazione diportistica e la pesca (strascico escluso, ovviamente), ma questo punto viene contestato da alcune associazioni e dai pescatori.

Il progetto prevede anche la realizzazione di una stazione elettrica di trasformazione su piattaforma marina che è stata pensata anche “per assumere il ruolo di presidio in mare con attività di monitoraggio ambientale, didattiche e turistiche associate alla centrale eolica”, tanto da essere dotata di eliporto. L’energia prodotta verrebbe poi portata a terra con un unico cavo di export da 380 kV, da interrare sino a 35 metri di profondità a circa un chilometro di distanza dalla battigia per bypassare così la spiaggia, il lungomare e la fascia infrastrutturale della ferrovia e della linea Metro-Mare, per poi proseguire lungo viabilità esistente fino a raggiungere la stazione Terna di San Martino in Venti, alle spalle di Rimini.

(Breve) storia dell’opera

L’idea di realizzare un impianto eolico offshore al largo della Riviera ha ormai una quindicina d’anni. Dalla seconda metà degli anni 2000, infatti, la Provincia di Rimini ha commissionato studi sulla ventilazione della zona, prima con un anemometro tradizionale posizionato sulla piattaforma “Azalea B” di Eni e poi con l’installazione di una strumentazione più avanzata in seguito ad una convenzione firmata con la stessa Energia Wind 2020. I dati raccolti indicano che l’area è battuta da un vento di media intensità e per l’azienda rappresentano un punto di forza del progetto: “È il primo e unico caso in Italia di misurazione anemometrica in mare aperto finalizzata allo sviluppo di un parco eolico offshore”.

Dopo anni di definizione del progetto preliminare e incontri con gli enti interessati, nel marzo del 2020 è stata richiesta la Concessione Demaniale Marittima (della durata di 30 anni) e contestualmente l’Autorizzazione Unica. La prima fase istruttoria si è conclusa circa un anno fa e, spiega a Green&Blue l’architetto Giovanni Selano, che insieme a Daniela Moderini si occupa di architettura, paesaggio ed energia per Energia Wind 2020, “il Ministero per la Transizione Ecologica ci ha invitati a proseguire nelle fasi successive”. Il prossimo passaggio prevede dunque l’avvio della Valutazione di Impatto Ambientale: “Stiamo finendo di preparare i documenti, entro marzo dovremmo presentarli”.

Di certo c’è che il progetto, qualora dovesse vedere effettivamente la luce, rappresenterebbe qualcosa di inedito tanto a livello regionale quanto nazionale. In Emilia-Romagna, infatti, l’eolico non ha mai preso davvero piede: gli ultimi dati resi disponibili da Terna, riferiti al 2020, parlano di poco più di una settantina di impianti già realizzati (tutti sulla terraferma, ovviamente) per 45 MW di potenza e di una produzione lorda di circa 71 gigawattora (GWh). Per dare un’idea delle proporzioni, la regione è didicesima nella classifica nazionale, ben distante dai record della Puglia (4.801 GWh), Campania (3.209 GWh), Sicilia (2.765 GWh), Basilicata (2.423 GWh), Calabria (2.132,4) e Sardegna (1.677,1 GWh).

 

Come sottolineato anche nell’ultimo rapporto annuale di monitoraggio del Piano Energetico Regionale (PER), del resto, in Emilia-Romagna la crescita dell’eolico “si scontra storicamente con le limitazioni fisiche e ambientali del territorio“, in quanto l’attuale disciplina in materia di localizzazione degli impianti “non favorisce la realizzazione” di nuove pale “visti i limiti così stringenti legati alla producibilità minima richiesta”. Lo stesso documento evidenzia come l’impianto offshore di Rimini potrebbe “contribuire enormemente al raggiungimento degli obiettivi complessivi in materia di fonti rinnovabili” unitamente al progetto Agnes, che dovrebbe invece sorgere al largo di Ravenna e prevede due centrali da 200 e 400 MW.

Sull’eolico in mare, in ogni caso, è l’intero Paese a scontare un ampio divario rispetto alle realtà più avanzate. “Nel mare del Nord la ventosità è maggiore, c’è disponibilità di spazio e i fondali sono più bassi”, spiega Laura Govoni, coordinatrice del Corso di Laurea in Offshore Engineering del Dicam – dipartimento dell’Università di Bologna che in passato ha partecipato agli studi di fattibilità del progetto riminese. “Ad eccezione dell’Adriatico settentrionale, in Italia le profondità dei mari sono molto elevate proprio dove il vento spira più forte”. Risultato: la prima centrale italiana sta nascendo soltanto in queste settimane nella rada esterna del porto di Taranto, ma sarà costituita da “appena” 10 turbine da 3 MW di potenza ciascuna. Numeri sideralmente distanti dai record della Gran Bretagna, che secondo i dati WindEurope al 2020 vantava oltre 40 centrali offshore, 2.294 turbine e oltre 10mila megawatt di capacità.

 

“Ultimamente in Italia c’è parecchio fermento soprattutto intorno alla tecnologia floating (ossia alle pale galleggianti, ndr) al Ministero sono arrivare decine di manifestazioni di interesse”. Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) del 2019 fissa come obiettivi minimi di crescita l’installazione di 300 MW nel 2025 e di 900 MW nel 2030. “Da un lato è una cosa positiva che siano previsti – conclude Govoni – dall’altro una strategia più ambiziosa permetterebbe all’Italia di costruire una filiera produttiva attorno al settore”.

Il fronte del no

Gli stessi dati vengono però citati anche dai detrattori dell’opera per evidenziare come il progetto di Rimini sia “sovradimensionato per il territorio marino su cui dovrebbe insistere. Basti pensare – sottolinea Marco Zaoli, docente universitario a Urbino e coordinatore scientifico dell’associazione “Basta plastica in mare” – che la potenza dell’impianto eolico riminese (i famosi 330 MW) supererebbe la potenza prevista per tutta l’Italia al 2025. Riteniamo che un unico impianto di queste dimensioni non sia una buona soluzione per tutti gli impatti che ne conseguirebbero dal punto di vista della navigazione, dell’aviofauna e della fauna marina“. In sede di Conferenza dei Servizi l’associazione riminese ha anche presentato un articolato parere che affronta punto per punto le criticità, ma il ragionamento di fondo è sempre lo stesso: “Il mare ha tanti usi possibili che vanno contemperati. Non possiamo pensare di risolvere gli errori del passato continuando ad avallare progetti non razionali. Le risorse sono limitate”.

 

Sulle “dimensioni e lo sviluppo industriale del progetto” si sofferma anche Italia Nostra, preoccupata in particolare per l’impatto visivo delle turbine: “Non prendiamo in considerazione opere che sfruttano e abusano il territorio” conferma Cristina Zoli, nel direttivo dell’associazione. Ma l’elenco delle realtà che hanno messo nero su bianco le proprie perplessità è ancora lungo: dai pescatori, preoccupati dalla riduzione dei periodi e delle aree di pesca, all’associazione degli ornitologi dell’Emilia-Romagna, dal Parco Delta del Po al Club Nautico di Riccione.

Fino alle istituzioni. Diversi comuni della zona hanno preso posizione contro il progetto, preoccupati dall’impatto che una simile centrale potrebbe avere su un territorio che vive anche e soprattutto di turismo. E non solo: “Non abbiamo alcuna contrarietà di fondo all’energia eolica – premette Anna Montini, assessore alla Transizione Ecologica di Rimini – ci opponiamo al progetto perché è figlio di una concezione vecchia e perché ci sono tutte le tecnologie per realizzare le turbine più al largo. Permetterebbero anche di trovare un migliore equilibrio con le attività della pesca: in mare insistono diverse attività e opportunità ma si possono trovare modalità che consentono un buon equilibrio”. Vista l’opposizione dei comuni e delle categorie economiche, anche la Provincia ha finito per “condividere l’insostenibilità di questo progetto”, giudicato troppo invasivo dal presidente dell’ente Riziero Santi. Che, però, si affretta ad aggiungere: “Non deve tuttavia passare un “no” a prescindere: il nostro giardino è fortemente energivoro, il territorio provinciale deve essere disposto a ragionare nel merito dei progetti”.

Le associazioni favorevoli

Non tutti gli ambientalisti si oppongono all’opera, anzi. Legambiente, ad esempio, ha incluso l’offshore riminese nelle venti storie-simbolo di blocchi alle fonti pulite contenute nel report “Scacco matto alle rinnovabili”. “Riteniamo che la centrale sia utile nell’ottica della transizione a fonti rinnovabili, rappresenterebbe un passo avanti importante – ragiona Massimiliano Ugolini della sezione locale dell’associazione – il turismo a Rimini si basa sui servizi e non sul paesaggio, che è tutto urbanizzato. Basti pensare che davanti alla costa abbiamo già diverse piattaforme di estrazione: ci sono perfino delle barche che portano i turisti a vederle, non vedo perché non dovrebbe accadere con le pale eoliche”. Proprio su questo aspetto, l’azienda ha commissionato a due società specializzate (Quaster e Asso) un’indagine campionaria su mille turisti. “I risultati ci hanno stupito positivamente”, commenta l’architetto Selano.

 

L’indagine si inserisce nel più ampio Studio di Impatto Ambientale che affronta i vari temi sensibili, come i già citati impatti sulla pesca e le specie marine. Uno degli approfondimenti, ad esempio, è stato affidato alla Fondazione Cetacea guidata da Sauro Pari, da tempo favorevole all’opera: “Abbiamo analizzato in particolare l’impatto sui grandi vertebrati marini, in particolare tartarughe e delfini, senza incontrare problemi di rilievo: l’area è sostanzialmente sgombra tranne che in sporadiche fasi dell’anno”. Inoltre, come già avviene nelle altre piattaforme sparse per l’Adriatico, le fondamenta delle turbine “potrebbero diventare una vera e propria culla di vita favorendo la biodiversità”.

Insomma, dossier e controdossier si accavallano a dimostrare tesi opposte: a breve spetterà al ministero fare sintesi e determinare il destino del progetto. Nel frattempo, la Riviera aspetta: in parte favorevole, in parte contraria, per lo più preoccupata ma senza chiudere definitivamente la porta. “Qualche anno fa abbiamo motivato pubblicamente il nostro no, ma ora sarei disposta a parlarne – racconta Patrizia Rinaldis, presidente della Federalberghi locale – Solo uno stupido non cambia idea: l’emergenza energetica ci porta a rivedere certe posizioni e, se necessario, a prendere scelte difficili. Certo, non deve più essere presentato un progetto a pochi chilometri dalla costa, quello non lo guardo neanche”.