Mangiare molluschi in maggiore quantità potrebbe aiutare a salvare il Pianeta contrastando l’acidificazione dei mari e combattendo il riscaldamento globale. Proprio così: come le foreste catturano l’anidride carbonica presente nell’aria, le conchiglie di cozze, vongole e ostriche – prodotte da un organo chiamato mantello e composte di carbonato di calcio – si formano attraverso la biomineralizzazione del carbonio, sottratto all’atmosfera dov’è presente in forma di CO2, la principale responsabile del riscaldamento globale.
“Si tratta di un sequestro biologico in mare che avviene con un complesso meccanismo di fotosintesi da parte del fitoplancton, utilizzato come alimento dai molluschi e fissato nei gusci calcarei dei bivalvi”, spiega Giampietro Ravagnan, già docente di microbiologia alla Cà Foscari di Venezia e responsabile scientifico di un progetto che ha individuato proprio nei molluschi un alleato potenziale – efficacissimo – per garantire un futuro al nostro pianeta.
Il progetto si chiama “Molluschicoltura 4.0” ed è portato avanti dall’Associazione Mediterranea Acquacoltori (AMA). Il claim è “curare il mare per salvare la terra”. Ai ministri della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Stefano Patuanelli, l’associazione ha inviato nei mesi scorsi una proposta operativa di sostegno allo sviluppo del comparto della molluschicoltura, sia per gli aspetti alimentari che per la sua funzione di ecosostenibilità. Una funzione in parte sconosciuta.
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“La decarbonizzazione è un obiettivo fondamentale e ineluttabile, per la quale sono previsti strumenti di sostegno economico. – spiega Ravagnan – Ma se si ragiona ancora sull’opportunità di destinare la CO2 ai giacimenti esausti di metano, sembrerebbe opportuno considerare il potenziale ai molluschi, che già oggi sequestrano in modo del tutto sostenibile anidride carbonica in quantità consistenti, come se fossero veri e propri giacimenti carbonatici. Si tratta di un processo naturale e per nulla dispendioso: perché non pensare allora di contabilizzare l’anidride carbonica sequestrata all’atmosfera in termini di crediti di carbonio e, in generale, incentivare la produzione di alimenti a basso costo energetico e, anzi, assolutamente convenienti in termini di impatto sugli ecosistemi?”.
Le scelte dell’Unione europea
E del resto le scelte dell’Unione Europea in tema di lotta ai cambiamenti climatici e di decarbonizzazione suggeriscono la produzione di alimenti che abbiano minore impatto ambientale, minor consumo energetico e minori emissioni in termini di CO2. “Nel progettare un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente – spiega Giuseppe Prioli, presidente di AMA – il Green Deal assegna un ruolo chiave all’acquacoltura, riconoscendo le potenzialità del settore acquicolo dell’Unione considerato tra i settori economici più innovativi, sostenibili, con elevato potenziale tecnologico e possibilità di rispondere alle sfide del cambiamento climatico. E per le sue specifiche caratteristiche la molluschicoltura italiana può concorrere ad affrontare questa sfida poiché costituisce il comparto produttivo con la minor impronta ambientale, caratterizzata da un basso consumo di energia e, appunto, dall’azione di sequestro di CO2, oltre a garantire un’ampia gamma di servizi ecosistemici, a cominciare dal mantenimento di habitat e biodiversità”.
Oggi in Italia la produzione complessiva annuale di molluschi bivalvi è di oltre 95.000 tonnellate all’anno. “Secondo alcuni studi almeno il 20% del peso del prodotto è costituito dai carbonati fissati nelle valve degli organismi. – spiega Ravagnan – E quindi nel suo insieme la capacità di sequestro – non solo fissazione – della CO2 è di oltre 20.000 tonnellate all’anno”. Un risparmio consistente per il nostro ambiente. Di qui la richiesta di “definire criteri certi affinché possano essere certificati e quantificati i crediti di carbonio da offrire in compensazione di attività emissive, quali, ad esempio, l’emissione correlata a gran parte delle attività legate alla pesca e all’acquacoltura dovute all’uso dei combustibili per i pescherecci, in una visione complessiva di pesca sostenibile”. Insomma, i molluschicoltori potrebbero avere incentivi per favorire, per esempio, una transizione alle energie rinnovabili, come ad esempio l’uso di biocombustibili nella navigazione (dove l’elettrico è ancora un’opzione particolarmente onerosa) o, ancora, nell’adozione di reti vegetali in sostituzioni di quelle in plastica.
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Il laboratorio sperimentale
E come laboratorio sperimentale per il cosiddetto blue-carbon-sink, il sequestro del carbonio in mare, la prima candidata è La Spezia, dove la significativa presenza di produzione di molluschi e la garanzia dell’Enea ed altri EPR ( Enti Pubblici di Ricerca)i suggerirebbero, secondo l’AMA, “di mettere a punto, in contemporanea, un modello di contabilità di aumento del sequestro con sistemi di monitoraggio ambientali 4.0 e formazione di specialisti per studiare altri contesti territoriali”.
E c’è anche un tema, non meno significativo, più nello specifico legato alla sicurezza e alla sostenibilità alimentare dei molluschi, il cui accrescimento – spiega ancora l’AMA – non richiede fonti energetiche esterne e presenta un prezzo assolutamente competitivo con altri alimenti di paragonabile valore nutrizionale.
Insomma, i molluschi d’allevamento sarebbero “un’alternativa potenzialmente sostenibile a carne, pollame o pesce. Non sono richiesti mangimi e antibiotici per la loro coltivazione e le emissioni di GHG associate alla loro produzione sono una frazione di quelle associate alla produzione di carne terrestre o anche di salmone d’allevamento. Di conseguenza, l’impatto ambientale della produzione di molluschi bivalvi da acquacoltura è notevolmente inferiore rispetto a tutte le altre fonti di carne animale prodotta industrialmente”. Qualche esempio? La carne produce tra i 19 e i 36,7 kg di CO2 per ogni chilogrammo di prodotto edibile, mentre i mitili, grazie al carbon sink, producono solo 0,6 CO2/kg di prodotto edibile. Non male, vero?