La proposta degli operatori del mercato elettrico alla crisi energetica: un intervento straordinario del Governo dettato dall’emergenza nazionale per mettere a terra 60 GW di rinnovabili in tre anni. Le imprese sono pronte a investire 85 miliardi di euro, stipulando un contratto di lungo termine per l’acquisto dell’energia elettrica a 65 euro al megawattora per vent’anni (oggi in Italia siamo a 280 euro/MWh), un prezzo inferiore a quello di qualsiasi altra fonte di energia fossile (e nucleare) anche in condizione “normali”. E le spese a carico dello Stato e dei cittadini sarebbero zero (cioè nessun incentivo pubblico).
Basterebbe sbloccare un terzo dei progetti di impianti rinnovabili di cui è già stata presentata domanda di allaccio a Terna, il gestore nazionale della rete elettrica, in attesa da anni di autorizzazione da parte di Regioni e Province. Si creerebbero così 80 mila nuovi posti di lavoro e si taglierebbe il consumo di 15 miliardi di mc di gas naturale, un quinto di tutte le nostre importazioni.
20 GW di rinnovabili ogni anno sono tecnicamente fattibili, in Italia ne abbiamo installate più di dieci in un anno un decennio fa, con tecnologie neanche paragonabili a quelle attuali, mentre oggi siamo a malapena a uno. Abbiamo la capacità di farlo ma il Governo deve sbloccare entro giugno gli iter autorizzativi, in primo luogo individuando le aree idonee in cui realizzare gli impianti. Lo spazio necessario per i 48 GW di fotovoltaico previsti non può essere un ostacolo, si tratta di poco più dello 0,1% della superficie nazionale, poca cosa a confronto del 7% del territorio italiano già oggi ricoperto da cemento.
Una proposta vincente per il clima, per l’indipendenza energetica e la sicurezza del Paese, per i portafogli di famiglie e imprese. Perché mai qualcuno dovrebbe dire di no?