Prevarrà la speranza o il sospetto? Difficile dire quale sarà il risultato dell’importante negoziato sul clima, che si terrà dal 6 al 13 novembre a Glasgow. Eppure il ventiseiesimo appuntamento della Cop, la conferenza delle Parti, il consesso di 197 stati che cerca di ridurre le emissioni globali di gas serra, è l’incontro più importante dal 2015, quando venne firmato l’Accordo di Parigi e il più importante di questo decennio.
Allora gli stati presero l’impegno di ridurre le emissioni per mantenere le emissioni globali per mantenere le temperature globali medie a fine secolo entro i 2 °C, con l’ambizione di raggiungere 1,5 °C. Numeri ben impressi nelle menti di ogni esperto e attivista, di chiunque abbia a cuore il futuro delle generazioni più giovani.
Oggi serve chiudere sui meccanismi che possano permettere di aumentare l’impegno di tutte le nazioni del mondo per raggiungere quegli obiettivi. Servono regole chiare per verificare e monitorare gli impegni, volontari, che ogni stato si è assunto e che dovrà ogni cinque anni rendere più ambiziosi. Niente passi indietro, come purtroppo ha fatto invece Trump, abbandonando addirittura l’accordo.
A differenza del 2009, altra data chiave, quando il negoziato fallì nel trovare un accordo globale alla Cop15, oggi a fianco di scienziati e cittadini si sta schierando anche il mondo dell’industria e della finanza, che inizia a cogliere il rischio sistemico dei cambiamenti climatici. Questa crisi non è ambientale, ma di sicurezza globale, un rischio per l’economia, per la stabilità politica e per la vita di tutti, soprattutto di quella dei più giovani.
La pressione dunque arriva alla politica da più parti, in ogni angolo del mondo. Ma perdurano le differenze ed i sospetti.
“Senza impegni politici e impegni finanziari da parte delle nazioni industrializzate, c’è un alto rischio di fallimento della Cop26”, ha dichiarato il 20 settembre il segretario generale dell’Onu, António Guterres al Forum of Major Economies on Energy and Climate. “Le nazioni del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni globali. La loro leadership è più necessaria che mai. Le decisioni che prenderanno determineranno se la promessa fatta a Parigi sarà mantenuta o infranta”.
A Glasgow sarà dunque una battaglia campale. Il primo nodo è quello della finanza climatica, movimentando risorse per oltre 100 miliardi l’anno. Un segnale positivo arriva dagli USA, dove il presidente Biden ha promesso di portare da 5,7 miliardi di dollari a 11,4 miliardi il contributo americano, al fine di “rendere gli Stati Uniti un leader nella finanza internazionale per il clima”. Dal canto suo Draghi ha annunciato che L’Italia farà la sua parte. “Siamo pronti ad annunciare un nuovo impegno economico per il clima nelle prossime settimane”.
Per raggiungere l’accordo servirà definire meccanismi chiari su come conteggiare queste risorse e su altri meccanismi di mercato necessari per movimentare risorse, in particolare tramite i mercati del carbonio, che al momento vedono grandi ostilità da parte di Brasile, Indonesia, India, che vogliono raggiungere il massimo beneficio.
Il secondo nodo sono gli obiettivi nazionali, noti come NDC, Nationally determined contribution. Serve chiudere le norme dell’accordo di Parigi che definiscono i meccanismi di verifica e di trasparenza (malvisti dalla Cina), ma soprattutto per la prima volta tutti i paesi dovranno presentare obiettivi di riduzione delle emissioni più ambiziosi di quelli presentati con l’accordo di Parigi. Al momento 114 paesi, che rappresentano il 49% delle emissioni globali hanno presentato un nuovo NDC. Secondo le Nazioni Unite, gli NDC attuali proiettano un amento del riscaldamento globale di 2,7 °C . Direzione catastrofica, ha tuonato Guterres.
Ma la partita non è certo decisa. Tutto si gioca sull’asse del bipolarismo climatico Usa/Cina. Xi Jinping ha fatto ripetute promesse, dalla carbon neturality al 2060 fino al recente annuncio di fermare la costruzione di centrali al carbone al di fuori dei confini cinesi. Gli Usa e l’Europa stanno coordinando uno sforzo diplomatico massiccio e puntando sulle risorse finanziarie per dimostrare l’impegno concreto, forti anche del sostegno del mondo finanziario che vede di buon occhio il raggiungimento dei target della finanza climatica.
In tutto questo l’Italia non gioca un ruolo secondario. Per garantire il successo diplomatico della Cop26 bisognerà guardare all’incontro di chiusura del G20 che si terrà a Roma dal 30 al 31 ottobre del 2021. La Farnesina dovrà mettere in campo tutte le sue competenze per coordinare un accordo importante all’interno del G20. Sul tavolo ci sono un obiettivo di lungo termine sulla dismissione del carbone come fonte di energia (tema che mette in difficoltà India e Cina), impegni concreti sulla finanza climatica (Draghi dovrebbe raddoppiare l’impegno di spesa a 1 miliardo di euro l’anno ), un target di riduzione delle emissioni di metano, un potente gas climalterante, del 30%, fortemente voluto dagli Usa. La mancanza di un inviato per il clima italiano però non è certo un segnale rassicurante. Nessun passo falso è concesso.
Non va sottovalutata anche la PreCop di Milano (30 settembre-2 Ottobre), che è un momento tecnico, ma fondamentale perché tenterà di sciogliere diversi nodi ancora in sospeso attraverso il lavoro di funzionari, delegati e diplomatici chiamati a raggiungere compromessi validi per tutti. Senza questo momento, il tempo a disposizione durante la Cop sarebbe insufficiente. Regno Unito e Italia, co-organizzatori dei negoziati hanno invitato i rappresentanti di 51 paesi per stendere una bozza avanzata per l’incontro di Glasgow. Su Milano prima, e poi Roma, quindi, ci saranno gli occhi del mondo. #WorldIsWatching è l’hashtag scelto per seguire i lavori delle prossime settimane.
La spinta emotiva verrà invece dai giovani. Dopo che sono scesi in strada a milioni il 24 settembre per lo Sciopero globale del clima, 400 delegati avranno il compito non banale di produrre e negoziare un testo ambizioso che vada ad inserirsi all’interno dei negoziati. Una richiesta di impegno improrogabile dai grandi che ancora non riescono a trovare una quadra, fatta di nuove idee, dove dallo sport all’imprenditoria, dalla musica alle città è possibile mettere in campo azioni concrete. Il 1 ottobre torneranno di nuovo in piazza per fare pressione sulla PreCop. Se gli stati non si muovono, saranno i popoli a farlo.