Il faggio predilige l’umidità e il fresco. Non a caso, si è trovato un posto al sole nella foresta della Massane, nei Pirenei orientali, Occitania, Francia, in un’area a strapiombo sul Mediterraneo che ha conquistato la sua notorietà un paio di settimane fa, quando è diventata uno dei 33 neoiscritti alla Lista Unesco del Patrimonio dell’Umanità.
Fino alla fine del diciannovesimo secolo, la zona era oggetto di sfruttamento intensivo per la produzione di carbone da legna, da impiegare nei bassi forni catalani che nell’era preindustirale erano il sistema primario per ricavare il ferro dal minerale in tutto il Mediterraneo Occidentale, dalla Spagna alla Liguria, Corsica e Sardegna incluse. Il taglio sistematico degli alberi è cessato intorno al 1885 e da allora la foresta è stata lasciata libera di riprendere il suo ciclo naturale. Gli alberi sono intonsi da almeno 150 anni, i più anziani da 300.
“Il principio del cessato sfruttamento è quello che ci permette oggi di osservare l’intera dinamica di evoluzione dell’ecosistema della foresta, il modo in cui si inerpica letteralmente ogni volta che fronteggia i diversi ostacoli – spiega all’agenzia di stampa France Presse Diane Sorel, che guida la riserva naturale della foresta della Massane da sette anni
La faggeta si trova all’interno di questa riserva, creata nel 1973, letteralmente appollaiata sulle alture di Argelès-sur-Mer, neanche dieci chilometri a sud di Perpignan, sovrastando le querce mediterranee sino alla cresta del massiccio degli Albères, estrema propaggine sudorientale dei Pirenei, al confine con la Spagna.
Francia, la faggeta tra Mediterraneo e Pirenei è diventata sito Unesco
La foresta si trova oggi al limite estremo di quello che i faggi possono sopportare in termini di (bassa) quantità di piogge e di (alte) temperature. “Siamo ben consapevoli che il clima stia evolvendo verso condizioni ancor più drastiche per la foresta. La faggeta della Massane è un avamposto rispetto alla minaccia che i cambiamenti climatici imposti dall’uomo costituiscono per tutte le faggete europee – spiega Elodie Magnanou, ingegnera ricercatrice del Centro nazionale della ricerca scientifica d’Oltralpee e gestrice della riserva.
La faggeta diventa così un laboratorio a cielo aperto per la comunità scientifica. “Abbiamo registrato un forte impatto dei periodi di calura e di siccità – dettaglia la ricercatrice – ma allo stesso tempo notiamo piccoli segnali che fanno sperare, come una buona capacità rigenerativa del sottobosco”
Sul cammino che conduce a una delle attrattive dell’area, la Torre della Massane, a 8 metri, Diane Sorel ricorda più volte agli escursionisti che non escano dal cammino battuto. “La visita è incoraggiata, ma non esattamente promossa. Bisognerà essere vigili, dopo l’iscrizione tra i siti Unesco, spiega la manager ricordando che tra i fattori che hanno sinora salvaguardato il sito la sua stessa scarsa accessibilità ha giocato un ruolo fondamentale. L’impatto con la faggeta – racconta AFP – è di quelli che colpiscono, dal momento che, dopo una mezz’ora di marcia sulla cresta del monte, tutta sotto il sole mediterraneo di stagione, non appena ci si immerge nel cuore della faggeta, sovrastati dall’ombra degli alberi alti fino a trenta metri, un’aura tutta ombra e frescura prende il sopravvento, laddove un pavimento fitto di centinaia alberi morti costituiscono la base dei giovani tronchi che svettano e riparano dal sole.
“Il bosco morto è allo stesso tempo fonte alimentare per diverse specie e – con le innumerevoli cavità che offre, luogo di rifugio e nidificazione per una grande varietà di uccelli, piccoli mammiferi e insetti – racconta Sorel di fronte a un albero che non ha resistito a una delle recenti ondate di calore.
La riserva offre una considerevole biodiversità: ospita 8.200 specie, tra cui la rosalia alpina, un coleottero azzurro con caratteristiche lunghe antenne, che dimora proprio sulle cortecce dei faggi. “Si potrebbe anche pensare del legno morto che è li apposta per favorire gli incendi – conclude Sorel -, ma non è questo il caso. Semmai, riesce conservare temperature fresche e umidità a livello del suolo. Un fattore molto importante anche in un contesto di vegetazione mediterranea.
L’Unesco ha iscritto la Massane nel sito multinazionale delle “foreste primarie e antiche di faggi dei Carpazi e di altre regioni europee” assieme alle altre francesi del Grand-Ventron (massiccio dei Vosgi) e del Chapitre (Alte Alpi). Per l’Italia, sono iscritte aree boschive dei parchi nazionali d’Abruzzo, Lazio e Molise, del Pollino (Basilicata), del Gargano (Puglia), di Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (Emilia Romagna), oltreché del Monte Cimino e del Parco naturale regionale di Bracciano-Martignano, nel Lazio. “Un bel riconoscimento al lavoro svolto su quest’area, ma allo stesso tempo un invito a proseguire nello sforzo che ha come obiettivo quello di conoscere a fondo la sua biodiversità e il funzionamento di un ecosistema che ormai in Europa è relativamente raro”.
I gestori della riserva constatano con rammarico che solo lo 0,25 per cento della superfice boschiva francese sia lasciata nelle condizioni di evolvere “naturalmente”, senza intervento dell’uomo, e che Parigi non abbia fissato obiettivi in tal senso, al contrario ad esempio di Germania e Svizzera, dove si punta a raggiungere la quota del 5 per cento.