Skinny, taglio dritto, a zampa, baggy, con risvolto. E ancora, tinta unita, slavati, macchiati, strappati. I jeans sono uno dei capi di abbigliamento più amati, tant’è che nel mondo ne vengono venduti ogni anno ben 3,5 miliardi. Stando al report di Fundamental Business Insights appena pubblicato, si prevede che il mercato registrerà una crescita rilevante, passando da 86,05 miliardi di dollari nel 2024 a 151,22 entro il 2034. Si stima, inoltre, che entro il 2025 il fatturato del settore sarà pari a 90,54 miliardi. Cifre che preoccupano non poco chi ha a cuore la sostenibilità, visto che questo indumento è uno di quelli a maggiore impatto ambientale.
I dati sul consumo di risorse
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, per realizzare un paio di pantaloni in denim servono 3.781 litri di acqua, a fronte di un’emissione di 33,4 chili di anidride carbonica durante il ciclo di vita, equivalente a guidare l’auto per 111 chilometri o a guardare 246 ore di tv su un grande schermo.
La fabbricazione del tessuto assorbe, inoltre, circa il 35% di tutta la produzione mondiale di cotone. Per ottenere un chilo di questa fibra occorrono 10mila litri di acqua, 12 metri quadrati di terreno e 18,3 kilowattora di energia elettrica. A ciò si aggiunge, nelle fasi di tintura e finitura, l’impiego di coloranti e prodotti chimici. In particolare, il processo di colorazione richiede annualmente circa 50mila tonnellate di indaco sintetico e oltre 84mila tonnellate di idrosolfito di sodio, usato come agente riducente. Sostanze, queste, alle quali vengono esposti i lavoratori del settore, con conseguenze negative per la loro salute.
A fronte di tutto questo, è indispensabile l’impegno da parte dei consumatori: trattare il denim nel modo giusto significa preservarne a lungo la qualità minimizzando gli sprechi.
In lavatrice con acqua fredda
Come suggerisce Altroconsumo, i jeans nuovi vanno lavati prima di essere indossati, ma il lavaggio a mano è da evitare perché si rischia di sprecare molta acqua. Meglio quello in lavatrice, scegliendo il programma per il cotone e impostando la temperatura dell’acqua a 30 gradi. Da rifuggire l’abitudine di lavare questo capo troppo di frequente: in genere i pantaloni in denim si sporcano dopo averli indossati per almeno sei-sette volte. Tra un impiego e l’altro, può essere una buona idea stenderli all’aperto per un paio d’ore, in modo che prendano aria e riacquistino freschezza.
Inutile ricorrere al lavaggio a secco: se il modello scelto non ha applicazioni né decori particolarmente delicati non c’è ragione di rivolgersi a una tintoria.
Asciugatura e stiratura
Nel caso dei jeans, l’uso dell’asciugatrice è sconsigliato, poiché lo strofinamento dei capi nel tamburo della macchina incrementa l’usura. Il suggerimento è stenderli e farli asciugare all’aria, appendendoli per le due estremità del girovita: un piccolo ‘trucco’ per evitare la formazione di pieghe da asciugatura. Se poi si ritira il capo quando è ancora leggermente umido, non sarà necessario stirarlo. Nel caso in cui, una volta asciutti, i pantaloni presentino stropicciature non gradite, in genere è sufficiente una passata veloce con il ferro da stiro tiepido. In ogni caso, è bene attenersi alle temperature di stiratura indicate sull’etichetta.
Come riconoscere i modelli green
Quando i jeans saranno davvero giunti a fine vita, è il momento di acquistarne di nuovi. Nella scelta è bene prediligere marche attente non solo a moda e profitto, ma anche alla sostenibilità. Alcuni modelli, per esempio, riportano le indicazioni sulla composizione e le istruzioni di lavaggio sul tessuto di cotone della tasca interna, evitando così di aggiungere etichette di solito realizzate in materiali sintetici. Altri hanno una salpa, ovvero il rettangolo posto in cintura sul quale è riportato il brand, in cotone riciclato.
Tra i vari produttori, alcuni, come Blue of a kind, Rifò, Nelle grandi fauci, Candiani, offrono un servizio di riparazioni gratuite per i propri capi: un modo per rifuggire la cultura dell’usa-e-getta, per produrre meno rifiuti e per risparmiare. Infine, dato che i jeans non sono più indumenti da lavoro, i rinforzi metallici (rivetti) delle cuciture risultano inutili, rendendo anche più difficile riciclare il capo: un plauso ai marchi che li hanno eliminati.