Dalla tutela dei cetacei al salvataggio delle Caretta caretta, dalla riforestazione delle Posidonia oceanica, cruciale per il contrasto ai cambiamenti climatici, all’efficientamento energetico dei porti e alla riduzione delle emissioni di CO2 delle imbarcazioni: oggi più che mai la Generazione Oceano alza la voce. All’indomani dello storico accordo Onu per il primo trattato internazionale a protezione dell’alto mare, che tutelerà una consistente area oggi al di fuori delle giurisdizioni esclusive internazionali, si alza l’orgoglioso grido di chi è già all’opera per tutelare la distesa blu. E alcune tra le storie virtuose di chi si impegna per salvaguardare habitat marini e costieri sono passate in rassegna all’Ocean&Climate Village, la prima mostra interattiva ed educativa dedicata alla relazione tra oceano e clima, che dal 6 al 12 marzo ha fatto tappa a Napoli, a Castel dell’Ovo.

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Realizzata dalla Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco (IOC-UNESCO) con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Napoli, la mostra si inserisce nell’ambito delle attività del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (2021 – 2030).

“Oggi più che mai – ha sottolineato Francesca Santoro, Senior Programme Officer della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco – occorre creare una Generazione Oceano che conosca veramente l’oceano e sia emotivamente connessa ad esso, comprendendo l’influenza che ha su di noi e viceversa, con riferimento a temi come cambiamento climatico e la sicurezza alimentare, la salute umana e l’economia globale. Solo così se ne può migliorare la protezione, la conservazione e l’uso sostenibile delle sue risorse“.

Le storie, già. Esempi virtuosi che arrivano da singoli e associazioni, e che vedono il sostegno di E.ON Italia, partner della tappa di Napoli del Village nell’ambito di Energy4Blue, un progetto con cui l’azienda si impegna per la salvaguardia dei mari coinvolgendo in modo attivo partner, cittadini, dipendenti e istituzioni. “Siamo animati dall’ambizione – come spiega il ceo Frank Meyer – di “creare un movimento attivo e partecipativo per diffondere buone pratiche e consapevolezza in tutto il Paese e dare vita ad uno sviluppo veramente sostenibile, a livello economico, sociale e ambientale a vantaggio delle generazioni future”.

Più Posidonia oceanica

Nel 2021, nell’ambito del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile (2021 – 2030), è nato – in collaborazione con IOC-UNESCO – il progetto “Save The Wave”, con lo scopo di conservare e ripristinare lo stato di salute degli ecosistemi marini del Mediterraneo. Così nell’aprile 2022 nel golfo di Mondello, a Palermo, è stata piantata una prateria di Posidonia oceanica di 100 mq con l’obiettivo di rigenerare l’ecosistema esistente. “E con benefici sia in termini ambientali che turistici, grazie all’azione di protezione che la pianta esercita sull’arenile”, spiega il biologo marino Antonio Scannavino, che coordina il progetto e da sempre lavora in ambito di educazione ambientale.

La riforestazione della Posidonia oceanica
La riforestazione della Posidonia oceanica 

Una seconda tappa di “Save The Wave” ha invece abbracciato le Isole Tremiti, dove, sempre insieme a IOC-UNESCO e con il supporto di The Oceancy e dell’Università degli Studi di Bari, su un’area di circa 100 metri quadri sono stati ripiantati rizomi di Posidonia oceanica scalzati. Qui come altrove sotto accusa sono gli ancoraggi selvaggi dei diportisti. “Il reimpianto è stato effettuato in due siti di circa 50 m2 ciascuno, dove Posidonia era presente in passato e dove è poi scomparsa proprio a causa delle attività umane”, spiega Francesco Mastrototaro, docente di Zoologia presso l’Università di Bari. “Il reimpianto è stato effettuato con fasci eradicati, ripiantati con tecniche completamente ecocompatibili”, aggiunge.


“Del resto le praterie di Posidonia – aggiunge Santoro – sono un ecosistema che ospita il 25% della biodiversità del Mediterraneo, producono ossigeno e catturano biossido di carbonio dall’atmosfera, intrappolandolo nelle radici e nel substrato sottostante per centinaia o addirittura migliaia di anni. In pratica, sono ecosistemi Blue Carbon, alleati fondamentali per contrastare gli effetti del cambiamento climatico”.

Salvare capodogli e tartarughe

C’è poi la storia di Monica Blasi, che con la sua associazione no profit Filicudi Wildlife Conservation, coordina e dirige dal 2004 tutti i progetti di conservazione sui cetacei e le tartarughe marine nell’Arcipelago delle isole Eolie. Monica ha una laurea in fisica e due dottorati (in biofisica e in chimica farmaceutica), ma la sua è una vita sul campo.

L'ecologa marina Monica Blasi di Filicudi Wildlife Conservation
L’ecologa marina Monica Blasi di Filicudi Wildlife Conservation 

Nel 2022 il suo progetto di citizen science ha coinvolto 150 tra studenti e volontari, mentre sono state recuperate venti Caretta caretta in difficoltà: finiscono al Pronto Soccorso per tartarughe marine sull’isola di Filicudi, una realtà che dal 2021 gode del supporto di E.ON Italia – “I casi più gravi – racconta – sono legati a intrappolamenti accidentali, strozzature di arti, amputazioni dovute a occlusioni per ingestione o collisioni con rifiuti in plastica e attrezzi da pesca abbandonati in mare. Dal 2009 ad oggi ne abbiamo salvate oltre 690″.

Capodoglio (Filicudi Wildlife Conservation)
Capodoglio (Filicudi Wildlife Conservation) 

Ma Monica fa di più: ha inventato un format, il “Discovery Turtle Beach”, con il quale coinvolge gli studenti delle scuole locali: “Sono loro, così, ad aiutarci nella salvaguardia delle spiagge idonee alla deposizione delle uova delle tartarughe marine nelle isole Eolie“. Dove, per inciso, la Caretta caretta nidifica stabilmente dal 2019. E la presidente di Filicudi Wildlife Conservation è anche in prima linea in una attività di monitoraggio di cetacei che ha portato, in dieci anni, alla foto-identificazione di 54 capodogli nel mare delle Eolie. “Il 15% è fedele a quest’area – racconta – e in diverse circostanze abbiamo avvistato gruppi di femmine con i piccoli”.

Il ruolo delle aree marine protette

A Napoli, nel corso dell’Ocean&Climate Village, si sono raccontati anche altri percorsi virtuosi. Domenico Sgambati, per tutti Mimì, è per esempio uno dei volti della piccola area marina protetta Punta Campanella, che va da Sorrento e Positano: un piccolo scrigno di biodiversità sul quale, soprattutto nel periodo estivo, ricade la pressione antropica derivante dalle centinaia di migliaia di turisti che raggiungono la Penisola Sorrentina e la Costiera Amalfitana. Tra i punti più fragili, la baia di Ieranto. “Fino a venti anni fa era vista come un grande porto dove ormeggiare, pescare e godere del mare in modo poco sostenibile, mentre oggi è diventata una grande oasi blu ove sperimentare nuovi programmi di tutela e fruizione col fine di avvicinare l’uomo alla natura, con percorsi di esplorazione – per esempio passeggiate in kayak, visite guidate in barca, escursioni con maschera e pinne – e conoscenza del tutto ecocompatibili”.

“Quel che va compreso è che le aree marine protette sono un’opportunità di tutela del nostro mare, ma anche un volano di crescita economica e turistica, rigorosamente sostenibile, per i territori che le ospitano, ivi compresi i pescatori che vi operano e che scoprono nuove opportunità, non ultimo il pescaturismo“, ha spiegato nel suo intervento Antonino Miccio, direttore di un’altra area marina protetta campana, il Regno di Nettuno, che abbraccia le isole di Ischia e Procida.

Il futuro dei porti: sempre più green?

Porti sempre più green e navi energeticamente efficienti: è questa la sfida emersa, chiaramente, dai talk dell’Ocean&Climate Village di Napoli. Un obiettivo condiviso da scienziati e stakeholder, su cui è impegnata in prima linea la stessa E.ON. Tutti insieme per promuovere l’economia blu. “Anche perché la riqualificazione energetica dei porti sarà fondamentale e la piena sostenibilità del settore marittimo potrà ottenersi solo attraverso l’evoluzione del binomio nave-porto. – ha spiegato Adolfo Palombo, che insegna Fisica Tecnica Industriale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Napoli Federico II. – In particolare, i porti dovranno subire un’importante trasformazione: non più solo meri scali per merci e passeggeri, ma anche moderni hub energetici per l’utilizzo e lo scambio di flussi e vettori energetici differenziati e ottenuti attraverso fonti rinnovabili”.

“La transizione energetica – prima di giungere ad una alimentazione “tutta elettrica” o totalmente rinnovabile – durerà ancora molti anni. – ha aggiunto Annamaria Buonomano, che nello stesso ateneo insegna Fisica Tecnica Ambientale – Sarà necessario, quindi, ricercare soluzioni sostenibili per alimentare i motori delle navi con combustibili green e, inoltre, promuovere la massima efficienza energetica a bordo nave”.  Tra i punti chiave la necessità di massimizzare il recupero del calore proveniente dai motori, altrimenti dissipato in ambiente. Come? Producendo energia elettrica, vapore, acqua dolce attraverso sistemi di dissalazione ed energia frigorifera. In questa ottica la Federico II porta avanti il progetto HEMOS (hemosproject.eu), finanziato da Horizon Europe.

“L’obiettivo – spiega Buonomano – è sviluppare una nuova strategia per massimizzare il recupero termico a bordo delle grandi navi da crociera, selezionare le tecnologie e le taglie di sistemi per il recupero del calore, ed ottimizzare alcuni parametri progettuali e d’esercizio del sistema”. Si è già da tempo al lavoro per il revamping energetico della nave Allure of the Seas, classe Oasis della Royal Caribbean, tra le navi da crociera più grandi del mondo in servizio.