SHARM EL-SHEIKH – Diritti negati, jet esagerati, cibo che scarseggia e un’area nel deserto dove nessuno vuole andare. Nel quarto giorno della Cop27 a Sharm el-Sheikh si sommano una serie di contraddizioni nate attorno al vertice africano difficili da digerire. Dalla logistica (in relazione all’impatto sull’ambiente) fino alla scarsa disponibilità di acqua e generi di conforto. Anche se resta in primo piano la questione dei diritti negati, che richiama l’attenzione sul caso dell’attivista Ahmed Seif Abd-El Fattah, arrestato e in sciopero della fame dall’inizio del summit.
I jet privati per i leader del mondo
Se si guarda insù, sopra i grandi padiglioni della Conferenza delle parti sul clima che portano i nomi di regine e faroni, ogni dieci minuti al mattino passa un aereo: ci sono i voli di linea diretti al vicino aeroporto, ma anche una serie di jet privati giunti in Egitto (anche via Cairo) per portare decini di capi di stato e delegati che contano. Solo nei primi due giorni del vertice i siti che monitorano gli spostamenti aerei hanno indicato almeno 40 jet in arrivo a Sharm el-Sheikh, molti dei quali provenienti da Usa (come quello con cui è arrivato John Kerry) oppure Europa (come il volo privato del premier Rishi Sunak).
Ma potrebbero essere molti di più, fa notare la Bbc, e certamente inquinano il doppio a livello di emissioni climalteranti rispetto ai classici voli di linea con cui sarebbe stato possibile raggiungere la Conferenza. Una contraddizione, rimarcata anche da decine di attivisti ambientali che hanno invaso in bicicletta le piste di Amsterdam per fermare i jet, che non è sfuggita nelle stanze di Sharm el-Sheikh: “Ma non si era qui proprio per parlare di come abbassare le emissioni?”.
Diritti negati e proteste vietate
La questione di una Cop27 blindata, iper controllata, dove è vietato dal governo (per lo meno all’esterno) esprimere il proprio dissenso anche solo con cartelli, slogan o manifestazioni, è quella che sta emergendo con più forza in Egitto. Gli attivisti ripetono che non può esserci “giustizia climatica” senza “giustizia sociale”. Il tema diritti si respira in modo netto su due fronti: quello relativo ai dissidenti politici ingiustamente arrestati e quello legato all’impossibilità, durante la conferenza mondiale sul clima, di esprimere il proprio pensiero sotto forma di protesta o per fare pressioni sui potenti.
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Nel primo caso aleggia soprattutto la questione dei dissidenti incarcerati ingiustamente, sottolineata anche da Greta Thunberg in un post, come il blogger Ahmed Seif Abd-El Fattah, detenuto nelle carceri egiziane e in sciopero della sete da inizio Cop. La sorella è venuta a parlare al summit ma è stata subito aggredita verbalmente da un politico egiziano vicino ad Al Sisi, prima che la sicurezza Onu placasse la cosa. Molti attivisti presenti a Sharm vorrebbero manifestare a sostegno di El Fattah e gli altri 60mila dissidenti incarcerati, ma c’è la netta paura che un corteo non autorizzato e con posizioni contrarie al governo egiziano possa essere represso con la forza.
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Per ora la soluzione trovata dagli attivisti, per manifestare ad esempio contro l’estrazione dei combustibili fossili, è stata quella di brevi e sporadici capannelli all’interno dei padiglioni. Nuovi cortei, più grandi, con magliette bianche e mani dipinte, sono previsti nelle prossime ore: il dove è il punto da chiarire.
Warning: Egypt’s propaganda machine, backed by Hill+Knowlton, is now in full spin mode and is smearing Alaa Abd el Fattah with trolls online and fake spontaneous protests at #COP27. Best not to engage. Do take note that this how they treat a hero fighting for his life. #SaveAlaa https://t.co/sEOoiu51XQ
— Naomi Klein “#COP27 Egypt Unsilenced” (@NaomiAKlein) November 9, 2022
Enorme contraddizione di questa Cop resta infatti l’area per le manifestazioni adibita dal governo di Al-Sisi all’esterno della Cop (20 minuti a piedi) a ridosso del deserto: un luogo dove nessuno verrebbe ascoltato. Inoltre, visto il trattamento riservato ad alcuni attivisti (controllati per una spilla sui diritti umani, allontanati per aver fatto foto, o tracciati attraverso app sul cellulare), molti dei presenti qui – che hanno l’obiettivo di assistere ai negoziati e osservare l’andamento della Cop – preferiscono non rischiare di essere sbattuti fuori dalla porta.
Acqua e cibo: un summit dai costi insostenibili
Negoziare con la pancia piena e le giuste energie, nel summit che dovrebbe tracciare il futuro del mondo, potrebbe essere un’impresa. In quella che sembra una gigantesca fiera capace di ospitare 35 mila persone tra delegati e osservatori (numeri Onu), che diventano almeno il triplo se ci aggiungono operatori, volontari, poliziotti, inservienti e via dicendo, riuscire a trovare da mangiare per chi partecipa alla Conferenza in corso non è facile: code lunghissime nei pochi bar dislocati qua e là o nell’unico grande ristorante presente.
I costi insostenibili
Martedì è finita l’acqua, oggi c’è stato l’assalto agli scatoloni che contenevano bottigliette d’acqua e Coca-Cola (sponsor dell’evento criticato per greenwashing). Per paradosso, la questione del cibo rispecchia anche un po’ le differenze rimarcate in questa Cop27, quelle fra ricchi e poveri del Pianeta. In coda, attivisti e rappresentanti delle comunità indigene invitati dalla Amazzonia, così come alcuni provenienti dalle isole del Pacifico a cui il viaggio è stato pagato da ong, lamentano i costi insostenibili: alla Cop egiziana un panino costa 11 dollari, un hamburger 14 e uno snack vegano 12.
Per due porzioni di quiche, una merenda e una bibita si arrivano a pagare anche trenta dollari. Il risultato, per chi può, è che in molti si stanno portando il cibo da fuori, una ”schiscetta” per reggere dodici ore di lavoro, se non vogliono rischiare file infinite sotto il sole per un pranzo salatissimo, da consumare magari davanti ai pannelli in plastica che ricordano quanto il cibo e acqua siano importanti per il futuro di tutto il Pianeta.