Oltre 14mila nuove imprese che si dedicano all’innovazione, chiamatele se volete startup, delle quali duemila nate durante la pandemia. È questa la fotografia dell’imprenditoria italiana che sta iniziando a mettere radici nel Paese. “Un inizio per continuare a crescere” sintetizza all’Italian Tech Week Francesca Bria, presidente di Venture Capital di Cassa depositi e prestiti (Cdp), il fondo nato nel 2019.

 

“Abbiamo nella ricerca scientifica livelli qualitativi elevati, ma dobbiamo fare più impresa” ha spiegato durante una delle conferenze di apertura della due giorni alle Officine Grandi Riparazioni di Torino. “Fra le nostre azioni principali c’è il fare in modo che dai centri universitari escano aziende. Abbiamo già stanziato in questo senso 275 milioni di euro. Con l’aiuto del Fondo europeo per gli investimenti, il Fei, che ne ha aggiunti altri 130, arriviamo a oltre 400 milioni“.

Biotecnologia, tecnologia medica, aerospazio sono alcuni dei settori di punta. E poi c’è il nuovo filone per il quale è stato creato il Tech for Climate, il fondo appena presentato da Cdp da 95 milioni di euro, per chi sta cercando di combattere la crisi climatica. Milioni ai quali si sommano i 250 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Per essere utilizzati ne andranno però trovati altrettanti dai privati da impiegare entro il 2026, stando ai dettami del Pnrr. Ma al di là dei tempi stretti, la difesa dell’ambiente è ormai in cima alle priorità.

 

I campi più gettonati sono le batterie di nuova generazione e l’economia circolare. Da questo punto di vista siamo perfettamente in linea con gli altri Paesi europei. Durante il primo pomeriggio lo ha confermato Francesco Matteucci, del Consiglio europeo dell’innovazione, una struttura creata dalla Commissione Europea per supportare la commercializzazione di tecnologie ad alto rischio e ad alto impatto nell’Unione.

“Negli ultimi tre o quattro anni sono stati avviati 500 progetti con un finanziamento complessivo da oltre un miliardo di euro”, ha spiegato. “La transizione energetica ha bisogno dello sviluppo di nuove tecnologie cominciando dalle batterie di accumulo che permettono di immagazzinare quanto prodotto dalle rinnovabili così da poterlo poi utilizzare quando non c’è il sole o il vento. Ma questo significa anche investire sui nuovi materiali per sostituire il litio e altri elementi rari estratti in Paesi fuori dall’Unione che sono il cuore delle batterie attuali. E allo stesso tempo avere dei sistemi per il loro riutilizzo così da doverne importare quantità piccole”.  

 

Questione di necessità: abbiamo poco gas e poche materie prime, liberarci dal doverli importare significa non dover più dipendere da Paesi scomodi puntando a rinnovabili, nuovi materiali e riciclo. Viene in mente la svedese Northvolt, che sta producendo batterie tradizionali ma fatte in modo che sia possibile riutilizzare oltre il 90% dei metalli rari che contengono le batterie e ancora più imprese come la Green Energy Storage (Ges) di Trento che sta muovendo i primi passi grazie ad uno stanziamento europeo di 53 milioni di euro per produrre sistemi di accumulo dell’energia privi di litio, nichel o bromo.

IT Week 2022, Francesca Bria (CDP Venture Capital): “Gli investimenti sulle startup sono le vere politiche per i giovani”

“Stiamo parlando di un unico mercato. Le soluzioni sviluppate qui o altrove nell’Unione europea poi verranno adottate da tutti se dimostreranno di essere efficaci”, spiega da Roma Andrea Barbabella, a capo della divisione Energia e clima della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e fra gli organizzatori del Premio startup per il clima di Italy for climate e Step Tech Park.  

 

“Lo scorso anno, durante la prima edizione del Premio startup per il clima abbiamo premiato una Windcity che realizza micro-impianti eolici che si possono usare anche in città. Confermo che altre cose interessanti arrivano dalle nuove tecnologie per le batterie di accumulo dell’energia prodotta dalle rinnovabili. Un settore davvero promettente. Ma c’è anche chi sta lavorando sui modelli economici per gestire al meglio le comunità energetiche oppure per aiutare lo sviluppo degli impianti di rinnovabili troppo spesso ostacolati da amministrazioni e burocrazia in Italia”.   

Alla burocrazia bisogna quindi poi sommare il cosiddetto “paradosso europeo”, come lo chiama Francesco Matteucci, che si lega a quanto detto da Francesca Bria: in Europa abbiamo scienziati di profilo elevatissimo ma scarsa capacità di scaricare poi nel reale la ricerca che fanno. In Paesi come la Francia sono più avanti, ma anche in Italia le cose si stanno muovendo. Cdp Venture Capital ha attivato in tutto il Paese diciassette acceleratori d’impresa in modo che le startup possano formarsi, trovare investitori e crescere. E investe in base ad alcuni filoni principali nel trasferimento tecnologico: robotica, scienze della vita e tecnologie per la sostenibilità, aerospazio, produzione alimentare, intelligenza artificiale.

 

“L’Europa non può solo regolare il digitale, deve anche crearlo”, conclude Francesca Bria. “Di qui gli investimenti del Next Generation Eu pari a 800 miliardi di euro dei quali il 20% è destinato alla digitalizzazione e altrettanto alla transizione ecologica”. Un messaggio chiaro a chiunque voglia iniziare a lavorare, e a creare nuovi posti di lavoro, per fronteggiare il cambiamento climatico.