Durante il Festival di Green&Blue, al direttore del servizio Copernicus sui cambiamenti climatici, Carlo Buontempo, è stato chiesto quale fosse fra i tanti grafici che raccontano la crisi del clima il più impressionante per lui. I due che ha citato, parlano entrambi di oceani: quello sull’innalzamento del livello dei mari, che continua al ritmo di tre millimetri l’anno, e quello sulle temperature che mostrano picchi spaventosi, come i più cinque gradi registrati di recente nelle acque a nord dell’Irlanda. Entrambi i grafici implicano però ben altro: uno sconvolgente cambiamento non solo nell’energia accumulata dagli oceani, che si traduce poi in eventi estremi drammatici per l’umanità, ma anche temperature e cambiamenti che stanno stravolgendo gli ecosistemi marini, con ripercussioni dirette – se si pensa anche solo alla pesca, il turismo e l’alimentazione- per le nostre economie.

G&B Festival 2024, Carlo Buontempo (C3S): “Il grafico più spaventoso è quello sull’innalzamento dei mari”

Lo stesso Copernicus, attraverso gli ultimi dati relativi a maggio 2024, ci dice per esempio che la temperatura superficiale marina (SST) media dello scorso mese è stata di 20.93°C, il valore più alto mai registrato per il mese: si tratta del quattordicesimo mese consecutivo in cui la temperatura della superficie marina è stata da record rispetto al confronto con i mesi dell’anno precedente. Tutto ciò genera impatti che – vale la pena ricordarlo in occasione della Giornata mondiale degli Oceani – si fanno sentire soprattutto in un mare piccolo e chiuso, che è hotspot dei cambiamenti climatici, come il Mediterraneo. Siamo già consci da mesi delle mutazioni in atto: dalle specie aliene che stanno sconvolgendo le nostre coste, come il granchio blu, a quelle endemiche come il vermocane che prolifica grazie alle temperature bollenti delle acque.


Sei segnali di allarme

Altre criticità le riassume bene il Wwf che, in occasione della Giornata degli oceani, ha diffuso un report in cui descrive sei casi preoccupanti che riguardano il Mare Nostrum: la tropicalizzazione della zona orientale, l’aumento delle specie aliene invasive, la proliferazione delle meduse, ma anche la perdita di determinate praterie di Posidonia oceanica, oppure la scomparsa delle gorgonie e la mortalità di massa della Pinna nobilis. Nel primo allarme, quello sul Medierraneo orientale, ci sono segnali drammatici che raccontano come quest’area, quella che si sta riscaldando più rapidamente della media globale e che è strettamente collegata al Canale di Suez (la principale via d’ingresso per le specie tropicali aliene), sia oggi già estremamente mutata. Per esempio “uno studio condotto nelle acque della piattaforma continentale israeliana ha rivelato che solo il 5-12% delle specie storicamente presenti nell’area sono ancora oggi presenti, evidenziando un drastico cambiamento nell’ecosistema marino“.

A livello di specie invasive preoccupa la presenza del “pesce coniglio” che bruca indistintamente le foreste algali, lasciando dietro di sé un deserto di “turf”, tappeti algali con minore complessità strutturale”. Ormai sono “oltre 1000 le specie marine esotiche che sono state introdotte nel Mediterraneo, e oltre il 75% di queste ha formato popolazioni stabili”. Inoltre, il tasso di insediamento delle specie marine esotiche (come il preoccupante pesce scorpione) nel Mediterraneo sta accelerando, senza segni di rallentamento. Non solo, per via delle temperature elevate nel Mediterraneo cresce la presenza di meduse che persistono per periodi sempre più lunghi. “Nel Golfo di Gabes i pescatori segnalano che le catture di meduse sono superiori a quelle di pesce. Questo fenomeno è attribuibile al fatto che le meduse si nutrono delle larve e degli avannotti dei pesci, compresi quelli di predatori apicali come il tonno e il pesce spada. Inoltre, la pesca eccessiva ha portato alla scomparsa dei predatori naturali delle meduse. Il risultato è un mare sempre più popolato da meduse e sempre più povero di pesci” si legge nel report.

Segnali d’allarme riguardano poi le praterie di Posidonia, essenziali per prevenire l’erosione costiera e per sequestrare circa 5.7 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, ma purtroppo “lo stress termico causato dall’aumento delle temperature sta influenzando la distribuzione di questa fondamentale pianta”, minacciata anche dagli “ancoraggi indiscriminati delle imbarcazioni”. Il declino di altre meraviglie marine, come le gorgonie o oppure la Pinna nobilis, che sta letteralmente sparendo dalle nostre acque, sono poi altri segnali di come i cambiamenti in atto nel Mare Nostrum possono portare a uno sconvolgimento degli ecosistemi.

Appena l’8,3% del Mediterraneo è protetto

“Il respiro dei mari è in affanno” ricorda  dunque l’associazione ambientalista e in un contesto in cui nel 2023 la temperatura media ha raggiunto un record di 21,1° gradi, è sempre più importante impegnarsi per “salvare la biodiversità marina che rafforza il nostro scudo contro il cambiamento climatico”. Per salvare il Mediterraneo che è sempre più caldo, salato ed acidificato, è dunque “necessaria un’azione urgente per abbattere ulteriori emissioni di gas serra e per aumentare la resilienza dell’ecosistema marino agli impatti del cambiamento climatico, proteggendo la biodiversità” spiega poi il Wwf lanciando la campagna GenerAzioneMare “attiva per tutta l’estate con volontari, ricercatori, velisti, pescatori, sub e apneisti impegnati nella difesa collettiva del nostro Capitale Blu”.

Per il Mare Nostrum soluzioni diverse e concrete secondo il Wwf devono essere orientate alla “protezione efficace del 30% dello spazio marittimo entro il 2030”. Un passaggio che “richiede l’istituzione di una rete efficace e coerente di Aree Marine Protette e altre misure di protezione spaziale, di cui il 10% deve essere strettamente protetto”. Si tratta però di una sfida “particolarmente impegnativa considerando che attualmente solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e meno del 2% è protetto in modo veramente efficace, mentre la superficie totale delle aree a protezione integrale rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo”. A questo, aggiunge l’associazione, è necessario affiancare una azione per “proteggere i corridoi ecologici vitali per la sopravvivenza di numerose specie migratorie come le balene, favorire lo sviluppo di una pesca più sostenibile, e pianificare l’utilizzo dello spazio marittimo rispettando l’ecosistema marino, sotto la guida della Direttiva Europea”.