Molte aree del Pianeta potrebbero a breve sperimentare un innalzamento del livello del mare o una perdita di risorse idriche incompatibile con le nostre capacità di adattamento. Perché la criosfera, l’insieme dei ghiacci della Terra, il 90% dei quali concentrati nella regione antartica, sta registrando danni irreversibili. La denuncia arriva dal nuovo Rapporto sullo Stato della Criosfera 2024, pubblicato dall’International Cryosphere Climate Initiative (ICCI) e presentato alla Cop29 di Baku. Gli autori, oltre 50 tra i massimi esperti globali del tema, evidenziano come la perdita di ghiaccio marino, sempre più consistente, sia diretta conseguenza del superamento del limite di 1,5°C dell’accordo di Parigi.

Le ricadute sono sotto gli occhi degli scienziati: la perdita di ghiaccio ha raggiunto livelli record in alcune regioni, in particolare nelle Alpi europee. La calotta glaciale della Groenlandia sta perdendo addirittura 30 milioni di tonnellate di ghiaccio ogni ora, “un fenomeno cui non avrei mai immaginato di assistere nella mia vita”, sottolinea Rob DeConto, scienziato dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Ancora: il Venezuela ha perso il suo ultimo ghiacciaio e l’Eternity Glacier dell’Indonesia, l’ultimo ghiacciaio tropicale dell’Asia, si avvia verso la scomparsa, pronosticata addirittura entro i prossimi due anni. Il manto nevoso ha raggiunto i minimi storici nell’Hindu Kush Himalaya, con un impatto sulla disponibilità di acqua a valle per miliardi di persone.

Con lo scioglimento progressivo del permafrost, inoltre, le regioni artiche emettono più carbonio di quanto ne assorbano ed entrambi gli oceani polari mostrano segni crescenti di acidificazione, con potenziali danni a lungo termine per la pesca regionale, come quella del merluzzo e del salmone, e in generale sulla loro biodiversità. Danni, denuncia il report, che sembrano essere “irreversibili per i prossimi secoli, o addirittura per migliaia di anni”.

Il rapporto evidenzia inoltre alcune conseguenze sin qui inesplorate: per la prima volta i ricercatori sono concordi sul rischio che investe le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide, che potrebbero rallentare importanti correnti oceaniche a entrambi i poli, con impatti negativi per l’Europa settentrionale (temperature più basse) e la costa orientale degli Stati Uniti, dove si registrerebbe un maggiore innalzamento del livello del mare. E proprio Baku, la capitale dell’Azerbaigian che ospita la COP29, si mostra come particolarmente vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico: la città dipende, per il 26% del suo approvvigionamento idrico, proprio dal manto nevoso e dai ghiacciai. Il loro progressivo scioglimento configurerebbe una situazione di potenziale criticità per la stessa vivibilità dell’intera area.

Di qui, dunque, l’esigenza inderogabile di ridurre le emissioni di CO2: l’aumento della loro concentrazione nell’atmosfera, con il superamento per due volte dei 428 ppm nel 2024, potrebbe tradursi in un incremento di almeno 3°C entro la fine del secolo. Uno scenario, sottolineano i ricercatori, decisamente allarmante. Non a caso usa parole chiare e decise Regine Hock, autrice dell’IPCC e glaciologa: “I drastici cambiamenti che stiamo osservando nella criosfera – mentre le regioni montuose e a valle di tutto il pianeta stanno subendo inondazioni, siccità e frane – forniscono argomenti più che convincenti a favore di un’azione climatica immediata”.

“Un’azione senza la quale sarà impossibile per le città e le regioni costiere adattarsi in tempo”, annota James Kirkham, capo scienziato di AMI Climate Action, tra gli autori del rapporto. “Non stiamo parlando di un futuro lontano: gli impatti della perdita della criosfera sono già percepiti oggi da milioni di persone diventeranno sempre più rilevanti con il passare del tempo in cui i leader ritarderanno un’azione di risposta realmente efficace”. “Salvare la criosfera significa salvare noi stessi”, conclude la direttrice dell’International Cryosphere Climate Initiative, Pam Pearson.