Nella Giornata mondiale contro la desertificazione Greenpeace pubblica un rapporto, elaborato su dati Istat commentati dall’Associazione Italiana di Agroecologia sugli effetti che la tropicalizzazione del nostro clima ha sul suolo. Secondo il rapporto, fa sempre più caldo al Nord e la siccità determina un suolo mediamente più povero d’acqua in tutte le regioni italiane. In particolar modo al Sud, la carenza d’acqua mette a rischio coltivazioni tradizionali e fulcro della dieta mediterranea come quelle dell’ulivo, degli agrumi e del grano duro.
È il Settentrione a registrare inverni più caldi (comuni però a tutte le regioni), con maggiori anomalie in termini di precipitazioni: “negli ultimi 40 anni, a livello nazionale, l’incremento della temperatura media invernale (gennaio-marzo) è stato di quasi 1,5°C, con punte di quasi 2°C nel Nord Ovest e oltre 1,5°C nel Nord Est. I maggiori aumenti si sono registrati in Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia. In soli due mesi dell’inverno 2024 sull’Italia del Nord è caduta circa la stessa quantità d’acqua piovuta in tutti e tre gli inverni precedenti”, si legge nel testo.
A temperature più elevate si abbinano meno precipitazione: “Nel resto del Paese, invece, – scrive ancora Greenpeace – negli inverni 2021-2024 si è registrata una generale riduzione delle precipitazioni cumulate rispetto alla media del trentennio 1981-2010: una variazione che è più ampia al Sud (-2,3%) e nelle Isole (-5,7%), dove incide su aree già caratterizzate da piogge più scarse che altrove. In tutta la Penisola, il 2022 è stato l’anno più siccitoso, con il Nord-ovest che ha visto le piogge ridursi del 64%”.
“Bisogna considerare che l’incremento della temperatura media invernale registrato è determinato considerando i dati di una lunga serie storica all’interno della quale sono presenti variazioni a volte molto accentuate”, evidenziano i ricercatori dell’ISTAT Stefano Tersigni e Alessandro Cimbelli. “Per quanto riguarda il regime delle precipitazioni, queste sono sempre più connesse a piogge molto intense e a eventi meteorologici estremi che provocano spesso alluvioni e dissesti perché il terreno non riesce ad assorbire precipitazioni così abbondanti e concentrate”.
Il caso Sicilia
Come più volte sottolineato, anche i dati di questo rapporto mettono in evidenza che se i suoli di tutte le regioni italiane (a eccezione della Valle d’Aosta) sono più poveri d’acqua rispetto alla media degli ultimi 30 anni, è però la Sicilia a soffrire di più. “Nell’isola il valore medio dell’acqua presente nei suoli superficiali è calato di oltre il 2% negli ultimi quattro inverni rispetto a quelli del trentennio precedente, ci sono poi Puglia e Calabria che registrano entrambe un calo superiore all’1%” I numeri su queste due regioni, avvertono gli esperti “sonoapparentemente esigui, ma sono un campanello d’allarme”.
“Un suolo in media è in grado di trattenere circa il 27% d’acqua di cui, generalmente, solo la metà è disponibile per le piante, all’incirca il 15%”, spiega Tommaso Gaifami, agronomo dell’Associazione Italiana di Agroecologia (AIDA). “Pertanto, anche la perdita di un solo punto percentuale equivale a una riduzione significativa del serbatoio di acqua a cui le radici delle piante possono attingere. Una carenza che, nei terreni agricoli, deve essere compensata attraverso l’irrigazione, con un maggiore utilizzo di risorse idriche. Bisogna inoltre considerare che alcune tecniche tipiche dei sistemi agricoli intensivi rischiano di aggravare questa situazione, determinando un impoverimento del terreno, mentre le tecniche agroecologiche e l’inserimento di elementi naturali nelle aree agricole possono essere un importante alleato per trattenere l’umidità nel suolo”.
Colture a rischio
Questa situaziuone generale desta preoccupazione per il Mezzogiorno e il suo comparto agricolo, perché sono già evidenti le ripercussioni sull’economia e sul fabbisogno dell’intero Paese. “È al Sud e nelle Isole che si trova il 99% delle superfici coltivate ad agrumi, – avvertono gli esperti – l’81% di superfici coltivate a ulivi destinati alla produzione di olio e il 73% di superfici coltivate a grano duro, utilizzato per la produzione di pasta e pane”.
“Le tendenze climatiche ci indicano che i suoli delle regioni del Mezzogiorno saranno sempre più difficili da coltivare e che non potranno essere compensati dai terreni del Nord Italia, già sfruttati in modo intensivo, minacciati da temperature medie in rapido aumento e da eventi climatici estremi sempre più frequenti”, commenta Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Per questo è urgente e necessario adattare il nostro modello agroalimentare a produzioni che richiedono meno acqua, a partire dalla riduzione dei terreni destinati alla mangimistica“.
La campagna “Fino all’ultima goccia”
Per sensibilizzare cittadini, istituzioni e soggetti pubblici e privati all’importanza della tutela di una risorsa idrica sempre più a rischio, Greenpeace Italia annuncia il nuovo progetto “Fino all’ultima goccia” ,che nei prossimi mesi vedrà impegnata l’associazione ambientalista in una serie di attività, monitoraggi e collaborazioni con la comunità scientifica per cercare di preservare le risorse idriche alla luce della crisi climatica.
L’organizzazione ambientalista chiede inoltre al governo misure concrete e urgenti in grado di ridurre a monte i consumi idrici nel settore agricolo, privilegiando l’uso di terreni e acqua per la produzione di cibo anziché di mangimi animali, misure per incoraggiare l’uso di tecniche agroecologiche che migliorino la salute dei suoli, inclusa la capacità di trattenere l’umidità. “È inoltre essenziale – secondo Greenpeace -, ridurre e poi azzerare le emissioni climalteranti, attraverso un aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima con obiettivi in linea con l’Accordo di Parigi, e fermare l’inquinamento che avvelena le nostre risorse idriche, impedendo che contaminanti pericolosi come microplastiche, pesticidi e PFAS possano continuare a diffondersi nell’ambiente mettendo in pericolo la salute delle persone e l’integrità degli ecosistemi naturali”.