Man mano che torniamo a chiuderci in casa, sempre meno a contatto con la natura, cresce la voglia di circondarci di piante da interno, ma non tutte le specie sono adatte a tutte le situazioni. I palazzi, infatti, sono costruiti in modo da massimizzare la metratura degli interni, ma il problema che spesso si riscontra è la mancanza di luce naturale, ovvero l’energia che permette ai vegetali di fare la fotosintesi, e quindi di “mangiare” assorbendo anidride carbonica dall’aria. Già ad alcuni metri dalle finestre, infatti, l’intensità delle radiazioni luminose diminuisce notevolmente. Se non viviamo in attici inondati dal sole e non abbiamo grandi vetrate ben esposte, scegliamo soltanto le varietà in grado di accompagnarci per molti anni anche negli appartamenti più ombrosi. La nostra top ten.
La gemma di Zanzibar
La Zamioculcas zamiifolia o gemma di Zanzibar – anche chiamata “pianta di Padre Pio” perché le sue foglie, se spezzate, “lacrimano” – è divenuta in pochi anni una tra le specie di maggior successo in virtù della sua resistenza in appartamenti e uffici. Di origine africana, ha un aspetto grafico, con foglie simili a quelle di una palmina, verde scuro e lucide perché sono autopulenti e non accumulano la polvere. Il suo fiore, invece, sembra una calla che spunta dalle radici. La grande quantità di clorofilla rivelata dal suo colore intenso permette alla specie di vivere in ambienti poco luminosi, mentre i “piccioli” delle foglie si gonfiano quando l’acqua abbonda e fanno da serbatoio per i periodi di secco. Innaffiamola una volta ogni dieci giorni, assicurandoci che la terra sia asciutta prima di bagnare (l’unico modo per esserne certi è toccarla con un dito). Di tanto in tanto, ruotiamo il vaso perché le foglie tendono a orientarsi verso la luce. Per riprodurre la Zamioculcas, tagliamo un pezzo di foglia e interriamolo in un vasetto con sabbia: nel giro di quattro settimane farà le radici.
Lo spatifillo
Originario delle foreste del Sudamerica, lo Spathiphyllum ha avuto grande diffusione da quando uno studio della NASA, nel 1989, lo ha annoverato tra le piante che riescono a depurare l’aria degli interni da composti come benzene e formaldeide, e non è più passato di moda in virtù della sua facilità di coltivazione. Le foglie sono verde lucido, mentre i fiori sono bianchi e appiattiti (di qui l’appellativo di “pianta dei cucchiai”). Proposto in vasi di formato mignon oppure in versione gigante, alto oltre un metro, lo spatifillo beve molto ed è avido di nutrimento, dunque va annaffiato appena la terra è asciutta, senza aspettare che foglie si abbassino per la sete (se la punta delle foglie diventa marrone, al contrario, le radici sono rimaste troppo all’umido). Una volta al mese, laviamo la pianta sotto lo spruzzo della doccia regolando l’acqua a temperatura ambiente (buona pratica che vale per tutte le piante qui segnalate) e il giorno seguente fertilizziamola con del concime liquido per piante verdi da diluire in acqua. Come per tutte le piante da interno, è buona norma portare “in vacanza” lo spatifillo in balcone da maggio a ottobre, al riparo dai raggi diretti del sole.
Le spade di San Giorgio
A differenza di altre succulente che in casa deperiscono, le sansevieria diventano bellissime in appartamento. Nei Paesi africani d’origine, infatti, queste piante crescono sotto i cespugli per proteggersi dall’eccessiva insolazione. La specie più comune, Sansevieria trifasciata, ha lunghe foglie a forma di spada con i margini gialli (la prima pianta portata in Europa, progenitrice di tutte le “lingue di suocera” in vaso, cresce nell’Orto botanico di Meise, a Bruxelles). Oggi se ne trovano in commercio innumerevoli, mini o giganti, con foglie piatte oppure cilindriche, verdi, argento o marmorate, ma tutte frugali. Bagniamole una volta al mese senza far ristagnare l’acqua nel sottovaso e rinvasiamole soltanto quando i fusti sono talmente fitti da riempire completamente il contenitore (più terra, in generale, significa più rischio di umidità intorno alle radici). All’aperto, in estate le sansevieria regalano pannocchie di fiori bianchi profumati. Da un pezzo di foglia messo in terra, anche in questo caso, si riesce a ottenere una nuova pianta. Non acquistiamo le sansevieria con le foglie intrecciate artificialmente, né quelle ricoperte di vernice e lustrini, inutili vessazioni che sviliscono la bellezza naturale di questi esseri viventi.
L’aspidistra
Portata in Europa dal Giappone nel 1820, l’aspidistra si è subito guadagnata l’appellativo di cast iron plant, cioè pianta di ghisa, per la sua resistenza alle condizioni avverse: basta ricordare che insieme alla kenzia divenne la specie più diffusa nelle case illuminate a gas dell’epoca, incurante di caldo, freddo e inquinamento, tanto che lo scrittore George Orwell, con il romanzo Fiorirà l’aspidistra, la rese simbolo della borghesia dell’Inghilterra vittoriana. Perfetta per appartamenti, androni, verande e balconi in ombra, va bagnata poco per evitare che le foglie si macchino di marrone. Per averla in salute basta non esporla mai al sole e non annegarla d’acqua. Oltre alla classica Aspidistra elatior, verde scuro, oggi iniziano a diffondersi specie e varietà con le foglie puntinate o variegate, ancora rare da trovare.
Il potos
Anzi i potos: è meglio parlarne al plurale, perché questo nome accomuna diverse specie che sono l’equivalente della nostra edera nei Paesi tropicali, con fusti striscianti, rampicanti o ricadenti. Tra i più comuni, quello maculato d’argento (Scindapsus pictus), quello dorato (Scindapsus aureus) e quello verde (Philodendron scandens), con anche varietà che vanno dal bianco al giallo puro. Per le case buie, però, concentriamoci sui tre classici perché le foglie bianche e gialle o molto variegate hanno poca clorofilla perciò hanno bisogno di molta luce per stare bene. Una volta i potos venivano coltivati su pali ricoperti di muschio. Oggi sono più spesso proposti in basket appesi, ma possiamo anche procurarcene un rametto in casa di amici, vista la facilità di moltiplicazione. Basta recidere il rametto sotto un nodo – cioè sotto il punto in cui si attaccano le foglie – e metterlo in acqua in una bottiglia di vetro scuro (così non proliferano le alghe). Una volta spuntate le radici, si può continuare a coltivare il potos in acqua, con l’accortezza di aggiungere dei granuli di resina per piante in idrocoltura. In alternativa, si pianta in vaso e si annaffia solo quando il terriccio secca (ormai l’abbiamo chiaro, è la regola che vale per quasi tutte le piante da interno).
Dall’aralia al cactus di Natale
Per chi ha più spazio, completano la nostra top ten l’aralia (Fatsia japonica) con grandi foglie verde scuro dal look tropicale – perfetta sia in casa sia in giardino, purché all’ombra – la Dracaena fragrans, conosciuta come tronchetto della felicità, anche se oggi piace molto nella versione senza il tronco, e la Dracaena sanderiana, proposta in vaso in tutto il suo splendore oppure sotto forma di bastoncini un po’ spelacchiati da tenere in acqua, venduti con il nome commerciale di “lucky bamboo”.
Piccolo ma spettacolare, invece, segnaliamo il cactus di Natale o Schlumbergera, succulenta brasiliana perfetta per una mensola, che fiorisce intorno a dicembre. Infine, l’Aglaonema, con foglie larghe in diverse colorazioni, che di difficile ha soltanto il nome: ama gli ambienti caldi e umidi (per esempio i bagni) purché posizionato a distanza dai termosifoni e dalle correnti d’aria. Anch’esso sopravvive agli inverni meno luminosi, ma che fare se la casa è quasi buia? Queste specie crescono bene anche sotto le lampade a led specifiche per le piante.