“Vorrei mettere qualche vaso in terrazzo. In realtà ci avevo già provato l’anno scorso, ma con scarsi risultati. Alla luce del clima sempre più estremo, quali specie a prova di “pollice nero” posso scegliere per evitare di dover ripartire ogni estate daccapo?”, scrive una lettrice in risposta al tutorial su come innaffiare senza sprechi. Quali sono le varietà in grado di sfidare il caldo estremo e che si possono acquistare anche in estate? Eccone dieci che non richiedono cure assidue e che possono cavarsela anche in nostra assenza per qualche giorno, qualcuna persino per un mese.
Ma è doverosa una premessa: le piante in vaso sono comunque dipendenti dalle nostre cure che, seppur minime, ci devono essere. Non diamo dunque la colpa al “pollice nero”, che spesso significa dimenticarsene completamente. Fatta salva questa assunzione di responsabilità, ricordiamoci anche che qualsiasi esemplare che esce da una serra dove viene coccolato tutti i giorni va abituato pian piano a condizioni più frugali.
Le mangave: piccole agavi “leopardate”
Le mangave sono succulente ottenute nei vivai americani Walters Gardens incrociando diverse specie di agave e di manfreda, così hanno le forme scultoree delle agavi, ma sono molto più compatte rispetto a queste ultime, dai 30 ai 50 centimetri di diametro. Sono piante protagoniste, perciò ne basta una da sola in un vaso importante per impreziosire un ambiente. Le loro foglie, in diversi colori dall’argento al porpora, oppure maculate, raramente hanno le spine. Per mantenere colori vividi richiedono almeno mezza giornata di sole. In estate è sufficiente annaffiarle una volta alla settimana; in inverno vanno tenute quasi all’asciutto, al riparo dalla pioggia nell’angolo più interno del balcone e, se la temperatura scende sotto i -6°C, bisogna spostarle nel pianerottolo al riparo dal gelo intenso. Una buona alternativa per chi non teme le spine feroci è l’Agave montana.
Spina di Cristo: l’alternativa ai gerani
Fino a qualche anno fa la Spina di Cristo – o Euphorbia milii – con rami pungentissimi e piccoli fiori rossi, era una piantina indistruttibile ma molto discreta, onnipresente sui balconi del nostro Sud. I nuovi ibridi ne hanno cambiato completamente l’aspetto, rimpiazzando buona parte delle spine con un fogliame più rigoglioso e con fiori molto vistosi; grazie ai loro colori, dal rosso cardinale al salmone, fino al bianco, e alla rifiorenza continua, in molti Paesi a clima caldo queste piante sono diventate un valido sostituto per i gerani. Le Euphorbia milii del gruppo Grandiflora, addirittura, possono ricordare delle ortensie. Da pieno sole, a prova di caldo e di secco estremi, richiedono un terriccio per piante grasse e vanno annaffiate solo quando la terra è completamente asciutta; in caso di siccità prolungata, perdono le foglie per proteggersi. Il loro limite è che non resistono al freddo, e quando la temperatura scende sotto i 6°C bisogna spostarle dietro i vetri in un pianerottolo o in un altro ambiente non riscaldato e mantenerle quasi all’asciutto fino a primavera.
Look tropicale: Cycas&Co
Sopravvissuta fino a noi dall’era Mesozoica (200 milioni di anni fa), Cycas revoluta ha un look esotico che ricorda una palmetta ed è estremamente resistente, perfetta per i terrazzi a mezz’ombra, perché in pieno sole le sue foglie tendono a ingiallire. Cresce lentamente, producendo un solo “giro” di foglie l’anno, ma col tempo crea un tronchetto. In cima, le piante femmina producono una infiorescenza dorata a forma di sfera, mentre i maschi sorprendono con una lunga spiga. La cycas ama le annaffiature regolari ma può resistere alla siccità anche per lunghi periodi. Dove il clima invernale è rigido bisogna spostarla nell’angolo più interno del balcone in inverno o al riparo dal gelo. Nelle stesse condizioni, funziona bene anche Yucca aloifolia, normalmente venduta per gli interni (la si distingue dal “tronchetto della felicità” per le foglie più sostenute e appuntite). Per il pieno sole, invece, si può scegliere la palma di San Pietro (Chamaerops humilis), con le foglie a ventaglio dai riflessi argentati. Resiste a 50 °C in estate e fino a -10°C in inverno, purché tenuta all’asciutto nei giorni più freddi. Per queste piante, dimentichiamo la vecchia regola del vaso proporzionato all’esemplare e scegliamo contenitori visibilmente capienti perché una grande quantità di terra, si riscalda di meno e mantiene di più l’umidità: basterà non bagnare troppo.
La portulaca: fiori low cost
Stretta parente della erba porcellana degli incolti, le cui foglie sono molto apprezzate come verdura salutare, la portulaca, piantina annuale originaria dell’Argentina, ha fusti e foglie succulenti che le permettono di resistere a prolungate mancanze d’acqua. I suoi fiori sono di ogni colore, sbocciano al sole e piacciono alle api. Esiste in due varianti, con le foglie appiattite oppure a forma di ago; entrambe si acquistano in vasetto per pochi euro, ma sono anche facili da seminare. Basta spargerne i semi sul terriccio come si fa con il sale sull’insalata, accarezzare la terra con la mano e poi bagnare. Nel giro di un mese le nuove piantine arrivano a fiorire. Unico ingrediente necessario: il sole. In inverno la pianta muore, ma si risemina da sola per l’anno seguente. Per un terrazzo resiliente, è bene coltivarle in ciotole ampie e larghe le quali, per un principio fisico, trattengono più umidità rispetto ai vasi conici.
I nuovi agapanti
L’agapanto è una pianta erbacea sudafricana che nasce da un fusto sotterraneo ingrossato (rizoma): una sorta di “radice” succulenta che gli conferisce la forza necessaria per superare i lunghi periodi di siccità. Tutti conosciamo quelli classici, dalle grandi “sfere” azzurre, ma oggi ne esistono in molti colori dal viola al bianco. Oltre ad essere perfetti per i climi asciutti, i nuovi ibridi – per esempio quelli della famiglia Everpanthus – hanno altri due vantaggi: sono rifiorenti e resistono anche al gelo invernale (le foglie scompaiono quando la temperatura scende sottozero, però rispuntano in primavera). Per fiorire bene hanno bisogno di almeno quattro ore di sole diretto al giorno e – attenzione – amano crescere in vasi abbastanza stretti riempiti con un terriccio nutriente ma leggero, per esempio per agrumi. A tal proposito, non cerchiamo di risparmiare sul substrato, ingrediente fondamentale per la longevità delle nostre piante; scegliamone uno di qualità che impieghi materiali alternativi alla torba (l’estrazione di questo substrato fossile, che corrisponde a dissotterrare moltissima CO2 immagazzinata sottoterra, minaccia l’ambiente e il clima, in accordo con gli studi dell’Ufficio Federale dell’ambiente svizzero e dell’Università di scienze applicate di Zurigo).
Le margheritine del deserto
Il delosperma ‘Jewel of Desert’ è una piantina strisciante adatta ai climi estremi che può sopravvivere da sola anche per lunghi periodi. Di un singolo colore o in mix, ha fiorellini a forma di margherite bianchi, gialli, fucsia, rossi o arancione che sbocciano per tutta l’estate, a patto che ci sia molto sole. Quando fa caldo si può bagnare una volta la settimana, nei periodi di mezzo ogni due, in inverno solo saltuariamente se non piove. Per queste sue caratteristiche è ideale per i piccoli davanzali o per i balconi delle seconde case, ma si può piantare anche in piena terra come tappezzante per ricoprire piccole scarpate dove non cresce altro. In più, si riproduce facilmente piantandone dei rametti, per la felicità di amici e parenti.
La pianta di “ghisa” che sfida l’ombra
Per chi ha un balcone al riparo dal sole o un atrio buio la migliore soluzione è l’aspidistra, specie dalle grandi foglie di colore verde scuro un tempo diffusa in tutte le case e in tutti gli androni per la sua facilità. Non a caso il suo nome in inglese è cast-iron plant, pianta di ghisa. Per ucciderla, bisognerebbe annegarla. Mai bagnarla troppo, dunque, basta farlo una volta la settimana, e di tanto in tanto esporla alla pioggia (o ripulire le foglie dalla polvere con un panno). In virtù della sua immortalità, è tornata di gran moda, riscoperta anche come pianta da giardino, perché resiste benissimo sia al caldo sia al freddo e può crescere fuori tutto l’anno. Per un tocco di originalità, si può optare per qualche varietà di aspidistra particolare, per esempio quella a foglie variegate di bianco. Fiorirà l’aspidistra? Certo che si, ma i suoi fiori, di color rosso carne, sbocciano a fine inverno a livello del suolo, quindi sotto le foglie, perciò rischiano di passare inosservati.
Il giglio della pioggia
Questa piccola bulbosa sudamericana, il cui nome latino è Zephyranthes candida, è estremamente adattabile. Le sue foglie sembrano filini d’erba mentre i fiori, bianchi, assomigliano a grandi crochi lunghi fino a 15 centimetri. Nei periodi di caldo secco la pianta va a riposo e perde le foglie, ma a fine estate, quando torniamo dalla vacanza e la innaffiamo abbondantemente, si produce con una fioritura esplosiva che dura circa un mese. Come l’agapanto, anche questa specie ama stare stretta, perciò è perfetta anche per i vasi e le cassette in cotto murati sulle colonne o sopra i parapetti. Fa parte delle piante “antiche” che non si trovano in vendita tutti i garden center, ma si può ordinare online.
I sedum che fanno tutto da soli
Ne esistono di innumerevoli e in generale sono piantine grasse provenienti dalle zone di alta montagna, dunque sono abituati ad avere a che fare con l’alternanza di freddo, caldo e asciutto. Non a caso, i sedum di dimensioni più piccole vengono utilizzati per realizzare i tetti verdi. Tra i più interessanti da coltivare in vaso, viceversa, c’è Sedum palmeri con foglie di colore verde acqua disposte a spirale sui fusticini come fossero piccoli fiori. A patto di avere sole, questa pianta fa da sé, tant’è che spesso è tra le poche che riescono a sopravvivere sui balconi abbandonati e la si vede metter radici persino nelle grondaie dove ne è caduto accidentalmente un pezzetto. È molto bello se coltivato in gran numero lungo interi davanzali o parapetti, e in marzo si ricopre di fiori giallo oro. A fioritura tardo estiva sono, invece, gli ibridi di Sedum telephium, sostenitori della biodiversità urbana, con fiori da bianco a rosa carico di cui api e farfalle vanno matte. Questi ultimi crescono a forma di cespuglio; in inverno la parte area della pianta muore, per rinascere dalle radici in primavera.
Le straordinarie “nature del quarto tipo”
Quante volte abbiamo ammirato i fiori sbocciati spontaneamente sul marciapiedi, nelle crepe dei muri o negli incolti di città? La capacità delle piante ruderali di fiorire nel nulla colonizzando il cemento ha affascinato fior di studiosi. L’ecologo Ingo Kowarik dell’Università di Berlino, per esempio, ha studiato la loro importanza nel creare ecosistemi ad alta biodiversità a partire da zero, battezzati “natura del quarto tipo”; lo racconta la giornalista scozzese Cal Flyn nel saggio Isole dell’abbandono. Vita nel paesaggio post-umano (Blu Atlantide), insieme a tante altre storie di rigenerazione ambientale a cui ispirarsi. Per riproporre questo esperimento di ecologia in balcone, coinvolgendo i bambini, raccogliamo un po’ di terreno da mettere in un grande vaso in una di queste aree ruderali di città. Poi basterà innaffiare per osservare cosa nasce. A seconda della zona, non mancheranno le sorprese, dal tasso barbasso al ricino, al cocomero asinino, dalle piante delle farfalle (Buddleja davidii) alla phytolacca, al caprifico. E non c’è nulla di più sostenibile e forte delle piante pioniere nate da sole da un seme.