Finalmente pronti a partire? La vacanza non potrà dirsi ben pianificata se oltre a fare i bagagli non ci premuriamo di far stare bene le piante di casa in nostra assenza. Il nostro decalogo.
Fare rete con il vicinato
La prima domanda: qualcuno potrà prendersi cura delle nostre piante? Nel condominio c’è sicuramente un pollice verde felice di rendersi utile, lo “rivelano” balconi e davanzali. Spesso, a bloccarci è solo l’imbarazzo nel chiedere, ma i fiori sono un terreno di conversazione neutrale per uno scambio di cordialità e fare rete è tra i pilastri di un comportamento virtuoso in termini di sostenibilità. Con il benestare del vicinato, potremo trasferire i vasi in cortile: le piante d’appartamento saranno ben contente di trascorrere un periodo all’aria, purché in ombra.
Ingaggiare un plantsitter
Se gli amici e il portinaio sono partiti ci si può affidare a un plant-sitter. Con il passaparola o cercando l’hashtag #plantsitter potremo individuarne uno in zona. A Roma operano i Botamici, a Torino c’è @theplantsitter, a Milano la Tata Green… Anche molti cat sitter sono disponibili per accudire il balcone, a patto di ricevere le giuste indicazioni. E c’è da sperare che qualcuno avvii anche da noi un hotel per piante, come ha fatto l’agenzia di viaggi londinese Contiki Tours, che ospita i vasi dei clienti che partono per almeno 10 giorni.
Installare l’impianto a goccia
Se c’è una presa d’acqua in balcone, installiamo un impianto automatico a goccia. Dal rubinetto ai vasi, il sistema comprende una centralina per la programmazione (da 30 euro l’una), un regolatore di pressione, un tubo da far correre lungo il parapetto e dei raccordi per connettere i tubicini con i singoli irrigatori che raggiungono i vasi, meglio se augelli a portata regolabile. Nei centri per il bricolage si trovano dei kit già pronti (da 40 euro per un circuito di 40 metri). Chi è meno pratico si può affidare a uno specialista. Senza presa d’acqua si può installare un set con serbatoio e timer.
Creare un sano assembramento
Qualche giorno prima di partire, accorpiamo i vasi avvicinandoli gli uni agli altri affinché si crei un microclima umido e le piante si proteggano a vicenda dal sole. Se possibile, però, mettiamoli direttamente in ombra e in un punto esposto a eventuali piogge: anche le specie da pieno sole si avvantaggeranno di una pausa dai raggi diretti. Se i vasi devono per forza rimanere esposti, avvolgiamoli in un telo di juta: l’acqua passerà attraverso il tessuto, ma il vaso eviterà di surriscaldarsi al solleone, altrimenti l’evaporazione è massima.
Prima di partire, diamoci un taglio!
Per superare la siccità, molte piante fanno morire parte dei loro rami oppure perdono le foglie, in modo da ridurre la traspirazione. “Prendendo esempio da questo meccanismo naturale, prima di un periodo asciutto dobbiamo potare le piante accorciando di circa 30 centimetri o più tutti i rami. Vale per rose, buddleje, ortensie, e arbusti in genere, ma anche per le piante erbacee. Questa operazione elimina anche i fiori, che sono ciò che assorbe più acqua”, spiega Susanna Magistretti, titolare del vivaio improntato su pratiche sostenibili Cascina Bollate, interno alla casa circondariale di Milano Bollate. “Fare questa potatura in vista delle vacanze significa lavorare “con” e non “contro” la natura, come tutti i giardinieri dovrebbero fare oggi”. Vale anche per i Ficus benjamin portati all’aria.
Ricordiamoci di fare il pieno
Da una settimana prima della partenza, annaffiamo bene per idratare al massimo le piante. Per garantirgli due giorni di riserva in più, utilizziamo provvisoriamente dei sottovasi più grandi rispetto al vaso di 5 cm, non oltre per evitare ristagni d’acqua prolungati. In aggiunta, possiamo mettere nella terra gli stick di idrogel o i granuli venduti come riserva d’acqua. In più, come in giardino, è bene coprire il suolo per proteggerlo dal sole (questa tecnica si chiama pacciamatura), per esempio con della vermiculite espansa, che trattiene l’umidità.
Il gioco della bottiglia
Sempre valido lo stratagemma della bottiglia a testa in giù. Dobbiamo forare il tappo con un punteruolo riscaldato in modo che ci passi una goccia. Quindi, basterà riempire la bottiglia e infilarla bene nella terra. Per rendere più efficiente il sistema si possono acquistare nei garden center degli irrigatori da avvitare al posto del tappo, oppure dei tappi traspiranti muniti di un cono poroso che trasmette l’acqua per capillarità.
Attenti a non esagerare in casa
In casa, accorpiamo i vasi nella stanza dove lasceremo alzata la tapparella per far entrare la luce. Un’alternativa può essere mettere insieme i vasi nel box doccia, creando così un microclima umido. Se annaffiamo bene e chiudiamo tutte le finestre prima di partire (perché la circolazione dell’aria fa asciugare la terra), tronchetti della felicità e altre dracaene, clivia, bilbergia, potos, aspidistra, zamioculcas, monstera, phalaenopsis, kentia e altre palme, clorofito e ficus se la caveranno per ben due settimane senza bisogno d’altro.
Il trucco dello spago
Tra le piante da interno che invece bevono tanto ci sono spatifillo, capelvenere e altre felci, calatee, pachyra e dieffenbachia. Per loro si può usare il trucco del filo di lana o dello spago. Ricaviamo un cordoncino lungo 30 cm, poi infiliamo una delle sue estremità nel foro di drenaggio del vaso e spingiamola bene nella terra con una penna. Quindi, mettiamo la pianta con il cordoncino sopra uno scolapasta posizionato dentro una bacinella con 5-6 cm di acqua (affinché il vaso non sia a bagno), facendo in modo che lo spago peschi nell’acqua, così l’umidità può salire dal filo per capillarità.
Per ortensie e piccoli alberi, serve una giara
Le piante in piena terra da qualche anno riescono di solito a superare i momenti di secco. Per le specie più bisognose d’acqua come le ortensie o per i giovani alberi, si può interrare a 40 centimetri dalla radice un’anfora di terracotta con l’imbocco a filo di terra. Quindi, si riempie la giara e la si tappa. L’umidità passerà al terreno per capillarità. È un sistema utilizzato in molti Paesi africani per le colture in ambienti semidesertici, come insegna la TKBW Banca Mondiale delle Conoscenze Tradizionali, che supporta da anni Unesco.