Una conferma degli effetti delle attività antropiche sull’aumento della temperatura delle acque superficiali dell’Oceano Atlantico e previsioni sulle conseguenze che tale incremento avrà sulle oscillazioni periodiche di questa temperatura, note come Amo (Atlantic multidecadal Oscillation, cioè oscillazione multidecennale atlantica). Ad aver usato un nuovo modello di intelligenza artificiale per avere ulteriore conferma delle preoccupanti ricadute che le attività umane hanno sul clima è uno studio dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr (Cnr-Ila) di Montelibretti, vicino a Roma, coordinato dal ricercatore Antonello Pasini in collaborazione con Stefano Amendola, del Centro di montagna dell’Aeronautica militare ed Emmanuel Federbusch della Ecole National Supérieure de Techniques Avancées di Parigi.
La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Theoretical and Applied Climatology, è una nuova prova che è indispensabile agire sulle attività antropiche per ridurre le emissioni climalteranti e raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi di limitare l’aumento della temperatura media a +1,5-2 °C entro fine secolo, rispetto ai valori preindustriali. Gli scienziati sono concordi nel ritenere che il limite di 1,5 °C sia irraggiungibile, ma studi come quello del Cnr-Ila aiutano a individuare i molteplici effetti delle concentrazioni di gas serra e di inquinanti atmosferici come i solfati.
“Nell’Oceano Atlantico è stato registrato che le acque superficiali si riscaldano e si raffreddano con un periodo di circa 60 anni in una oscillazione nota come “Atlantic multidecadal oscillation” (Amo), facendo pensare ad un ciclo della variabilità naturale”, spiega Antonello Pasini, Cnr-Iia. “Abbiamo verificato l’evoluzione temporale di Amo negli ultimi 150 anni, tramite un modello di intelligenza artificiale a reti neurali sviluppato dal Cnr-Iia per analisi climatiche, esplorando gli eventuali legami tra il comportamento di Amo e gli influssi esterni sul sistema clima, sia naturali che antropogenici. Il primo risultato del nostro studio è che questo andamento non appare come una manifestazione della variabilità naturale del clima, ma viene guidato da cause esterne di cambiamento”.
Tra questi influssi esterni si annoverano l’andamento della radiazione solare e la presenza di elementi naturali come le polveri vulcaniche, la concentrazione di gas serra e la presenza di polveri contenenti solfati emesse dalle azioni umane in combustioni sporche, come quelle di petrolio contenente zolfo. Gli studi che hanno messo in correlazione la radiazione solare con le particelle inquinanti sono ormai numerosi ed è ormai acclarato che tali particelle possono riflettere o assorbire parte della radiazione che arriva dal Sole, alterando la quantità di energia che raggiunge la superficie terrestre o marina. Se è chiaro che l’interazione tra l’aerosol e la radiazione solare è una componente molto importante dell’influenza umana sul clima terrestre, trattandosi di fenomeni complessi, la quantificazione dell’effetto del particolato sul clima è ancora assai incerta, come
rimarcato nei report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) nel 2021.
“Per capire quali di questi elementi esterni siano più importanti per guidare l’andamento di Amo abbiamo analizzato cosa sarebbe successo nel passato nel caso in cui uno degli influssi, anziché variare, fosse rimasto stazionario o costante”, spiega Pasini. “Abbiamo visto che gli influssi naturali non influenzano l’andamento di Amo, mentre quelli di origine umana sì. E, tra questi, ciò che massimamente ha creato l’oscillazione con periodo di 60 anni è stata la variazione avvenuta nelle polveri contenenti solfati”.
Grazie al nuovo modello di intelligenza artificiale, è stato possibile anche prevedere l’andamento di Amo nei prossimi decenni sotto vari scenari futuri di emissione. “Molto probabilmente, da oggi a fine secolo, Amo perderà la sua oscillazione caratteristica, rimanendo invece nella sua fase positiva, più o meno marcata in relazione allo scenario che si avvererà. Tutto ciò potrà avere un impatto molto forte sul clima di tutti i continenti che si affacciano sull’Atlantico, ad esempio con un’aumentata attività degli uragani atlantici e una diminuzione di piogge sul Brasile nord-orientale, ma anche con un possibile aumento di precipitazioni sulla fascia africana del Sahel. L’Europa potrebbe assistere ad un aumento di piogge in estate nella sua parte nord-occidentale”, aggiunge Pasini. “Certamente, scoprire che anche dinamiche che apparivano naturali sono invece guidate dai nostri influssi deve far aumentare la consapevolezza delle responsabilità passate, ma anche di quelle cui siamo chiamati in futuro per evitare ulteriori derive del clima verso scenari incerti”.
I risultati ottenuti nello studio sull’Oceano Atlantico si sono ottenuti anche grazie a una precedente indagine del Cnr-Ila pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature e condotta in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Roma Tre, che ha mostrato come modelli di reti di neuroni artificiali (le cosiddette reti neurali) siano in grado di ‘comprendere’ i complessi rapporti tra i vari influssi umani o naturali e il comportamento climatico.
“Il cervello di un bambino che cresce aggiusta pian piano i propri circuiti neuronali e impara infine semplici regole e relazioni causa-effetto che regolano l’ambiente in cui vive, per esempio per muoversi correttamente all’interno di esso”, aveva spiegato nell’occasione Antonello Pasini, primo autore anche di questo studio. “Come questo bimbo, il modello di cervello artificiale che abbiamo sviluppato ha studiato i dati climatici disponibili e ha trovato le relazioni tra i fattori naturali o umani e i cambiamenti del clima, in particolare quelli della temperatura globale”.