“Mi pare improbabile uno stravolgimento del Green deal a Bruxelles. E per quanto riguarda il governo italiano, un compito fondamentale lo avrà l’opinione pubblica che dovrà chiedere conto all’esecutivo di eventuali contraddizioni”. Enrico Giovannini, ex ministro e ora direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, non è d’accordo con chi intona il de profundis per le politiche climatiche europee dopo i risultati elettorali dello scorso weekend.
Professor Giovannini, cosa comporterà il voto europeo per le politiche green di Bruxelles?
“Molto del Green Deal è già stato deciso. Ci saranno ovviamente delle verifiche, ma non mi sembra all’orizzonte nel Parlamento europeo una maggioranza che voglia smontare tutto quello che è stato fatto finora: anche il Ppe, che pure è stato critico su una serie di questioni, intende comunque procedere, anche se con molta più attenzione alle politiche industriali. D’altra parte, il resto del mondo sta comunque accelerando la transizione ecologica. Quindi saranno possibili dei ripensamenti, ma il progetto di smontare l’intero impianto mi sembra altamente improbabile, anche perché appunto servirebbe una maggioranza parlamentare con questo obiettivo che al momento non esiste”.
Ma le sconfitte di Macron in Francia e dell’alleanza socialisti-verdi-liberali in Germania non indeboliscono anche le politiche ambientali europee che poggiavano proprio su quell’asse?
“I segnali politici arrivati dai singoli paesi, Italia compresa, verranno certamente utilizzarti per riaprire dei dossier. Ma dobbiamo ricordare che una cosa è il Parlamento europeo, altra è il Consiglio. Che il Consiglio negli ultimi tempi abbia frenato le iniziative Green del Parlamento è cosa nota. Ora potremmo assistere alla dinamica inversa: il nuovo Consiglio a trazione di centrodestra potrebbe spingere per la revisione di norme green, mentre potrebbe essere il Parlamento, con una maggioranza non molto diversa dall’attuale, a frenare. Ma rivedere regolamenti già approvati è paradossalmente più difficile che varare regolamenti ex novo. Inoltre il green deal è un pacchetto ampio, che va dall’agricoltura ai trasporti, e che sarà sempre di più una questione di energia: nel breve termine le rinnovabili saranno vantaggiose anche in un’ottica di sicurezza energetica. Non credo proprio che si tornerà al petrolio o al gas, perché vorrebbe dire esporre ulteriormente il nostro continente a situazioni come quelle che abbiamo visto con l’invasione russa dell’Ucraina”.
Quindi là dove non potrà la politica climatica basata sulla scienza, potrebbero giocare un ruolo la convenienza economica e geopolitica?
“Assolutamente sì. Non a caso, l’Italia è andata in minoranza sul pacchetto che prevedeva la riduzione delle emissioni per il trasporto pesante. Vuol dire che nel Consiglio c’era comunque una maggioranza qualificata, indipendentemente dal colore politico dei singoli governi nazionali, che ha ritenuto conveniente quella norma”.
Il clima e l’ambiente saranno il principale terreno di scontro in Europa?
“Ritengo che la vera partita ora si giocherà sul nuovo bilancio dell’Unione. I popolari e i liberali finora non hanno parlato di un nuovo Next Generation Eu. Conserveranno questa posizione oppure accetteranno una maggiore spesa europea, magari indirizzata verso la transizione ecologica e sociale? E’ un passaggio più importante di quello dei singoli dossier. E un ruolo cruciale lo avrà il nuovo presidente della Commissione che dovrà trovare una sintesi tra posizioni anche molto diverse”.
In campagna elettorale il green deal è stato duramente attaccato dai partiti di governo in Italia. Archiviate le urne, qual sarà secondo lei l’approccio del nostro esecutivo su questi temi a Bruxelles?
“Dipenderà molto dall’opinione pubblica, già partire dal G7 della prossima settimana”.
Che c’entra l’opinione pubblica con il G7?
“Siamo ormai abituati a documenti finali di questi vertici molto focalizzati sulla transizione ecologica, penso a quello del G7 clima e ambiente di Torino. Ma l’opinione pubblica deve chiedere conto al governo delle contraddizioni, in un senso o nell’altro. Se si è a favore della transizione bisogna chiedere al governo: perché prendete questi impegni e poi fate il contrario. Se invece ci si oppone al green deal si dovrà dire al governo: ma come avete fato ad approvare queste cose? Sarà insomma molto importante miei prossimi mesi che ogni passo del governo sia attentamente monitorato e valutato da parte della società civile, nell’interesse del Paese e della sua competitività”.