Da 17 a 25 tempeste. Di queste, da 8 a 13 diventeranno uragani veri e propri. Sono previsioni nere, anzi nerissime, quelle del National Hurricane Center, divisione della National Oceanic and Atmospheric Administration e del National Weather Service, responsabile del monitoraggio delle perturbazioni negli oceani Atlantico e Pacifico, la cui stagione è ufficialmente iniziata il 1° giugno per terminare il 30 novembre.

 

Le condizioni nell’oceano Atlantico

Ma come si generano questi eventi estremi? Durante l’estate, l’Atlantico si riscalda, determinando condizioni generalmente favorevoli alla formazione di uragani. In particolare, l’acqua calda superficiale, a circa 26 gradi, fornisce una crescente energia termica, che viene rilasciata nell’atmosfera attraverso l’evaporazione. Tale energia innesca un movimento verso l’alto, contribuendo alla creazione di gruppi di nuvole temporalesche e di vortici.

Oltre a questa variazione stagionale di temperatura, entra in gioco anche un fenomeno di lungo periodo, chiamato Oscillazione multidecennale atlantica (Atlantic multidecadal oscillation, Amo). “D’estate la superficie dell’Atlantico può essere più calda o più fresca del solito per molte stagioni consecutive, a volte per decenni”, spiega Jhordanne Jones, ricercatrice alla Purdue University, negli Stati Uniti. “Le fasi calde generano più energia per lo sviluppo di uragani, mentre quelle fredde ne sopprimono l’attività. Ebbene, l’Atlantico è in una fase calda dal 1995, il che ha causato per tanti anni uragani molto violenti”.

 

L’influenza di El Niño e La Niña

A determinare gli uragani atlantici concorrono, però, anche le temperature dell’oceano Pacifico, che, proprio come avviene nell’Atlantico, oscillano tra fasi calde, chiamate El Niño, e fasi fredde, chiamate La Niña, ma con intervalli di tempo più brevi tra le une e le altre.

La Niña promuove il movimento ascendente dell’aria sull’Atlantico, che alimenta consistenti nubi di pioggia e precipitazioni più intense. Inoltre, indebolisce gli alisei, venti regolari in direzione e costanti in intensità tipici delle regioni tropicali, riducendo il wind shear verticale, ovvero una variazione nell’intensità e nella direzione del vento tra l’atmosfera superiore e l’atmosfera inferiore, vicina alla superficie terrestre. E quando il wind shear diminuisce aumenta la probabilità di uragani. Al contrario, El Niño favorisce alisei forti, incrementando il wind shear. Inoltre, concentra il movimento ascendente e le precipitazioni nel Pacifico, innescando un movimento discendente e il bel tempo sull’Atlantico.

La preoccupazione degli scienziati

Negli ultimi anni le elevate temperature dell’Atlantico si combinano con La Niña e ciò ha determinato, per esempio, il record di uragani del 2020. I meteorologi si aspettano che lo stesso avvenga quest’anno. “Ci sono sicuramente tutti gli elementi per una stagione molto attiva”, conferma Ken Graham, direttore del National Weather Service, “e gli scienziati sono preoccupati. Anche perché, in presenza di un oceano caldo, le tempeste possono intensificarsi anche in ambienti moderatamente sfavorevoli. È accaduto nel 2019, quando la tempesta, pur circondata da aria secca, si è rapidamente intensificata fino a diventare un potente uragano che si è abbattuto sulle Bahamas, provocando morti, feriti e ingenti danni”.