Nel 1986 Edward O.Wilson, entomologo e naturalista americano, usò per la prima volta il termine “biodiversità”, definendola “la materia stessa della vita“. Tre anni dopo, Wilson pubblicò il libro intitolato appunto Biodiversity, destinato a cambiare il modo in cui anche il grande pubblico, e non solo il mondo accademico, avrebbe guardato alle diverse forme di vita e scoperto che, come si legge nel testo diventato ormai un caposaldo della conservazione, “anche la tundra artica, apparentemente desolata, è sostenuta da una complessa interazione di molte specie di piante e animali”.
Vincitore di due premi Pulitzer, considerato “il Darwin moderno“, Edward O. Wilson è morto ieri a 92 anni nel Massachusetts e la notizia della sua scomparsa è stata data dalla fondazione nata in suo nome nel 2005, quando ex studenti e colleghi avevano deciso di onorare il naturalista “per la sua vita di lavoro scientifico pionieristico in biologia, per la sua capacità di riunire e trovare un terreno comune tra gli scienziati e le comunità di conservazione, e per i suoi eloquenti e premiati scritti sul tema della biodiversità”.
L’impegno di Wilson per la protezione dell’ambiente è stato multiforme e fino all’ultimo si è battuto per spronare governi e opinione pubblica all‘azione per la salvaguardia della natura. Numerosi i suoi appelli, l’ultimo lo scorso ottobre, alla vigilia della Cop26, quando a proposito del summit ha dichiarato: “Questo è il maggiore tentativo globale di unire gli sforzi per un obiettivo chiaramente definibile per l’umanità. Abbiamo bisogno di cooperazione, armonia etica e pianificazione per portarlo a buon fine”. “Il problema è che la natura umana non è cambiata abbastanza – aveva osservato Wilson – Le nostre più forti propensioni di natura sociale tendono a sfavorire la vita della maggior parte delle altre specie”.
Nato in Alabama, Wilson aveva raccontato che già a 10 anni passava ore nei boschi a raccogliere insetti e farfalle. La sua passione per l’entomologia lo ha portato a lavorare come ricercatore ad Harvard e a scoprire più di 400 specie di formiche. Nel 1995 era stato nominato uno dei 25 americani più influenti dalla rivista Time e nel 2000 uno dei 100 ambientalisti più importanti del secolo sia da Time, sia dalla rivista Audubon. Nel 2005, Foreign Policy lo aveva nominato uno dei 100 intellettuali più importanti del mondo. Tra le sue teorie più controverse, quella espressa in un altro dei suoi testi fondamentali, Sociobiologia, del 1975, criticato da alcuni scienziati perché sostiene che i comportamenti umani come l’altruismo o l’ostilità sono determinati dai geni, o “natura”, piuttosto che dall’ambiente, o “educazione”. I critici dell’epoca hanno denunciato la teoria come portatrice di echi di eugenetica.
Uno dei suoi ultimi lasciti è il Progetto HalfEarth, che basandosi su scienza, analisi e tecnologia all’avanguardia, sta mappando la distribuzione delle specie in tutto il mondo, per identificare i luoghi dove se ne possono proteggere il maggior numero. Determinando quali aree di terra e di mare si possono collegare per ottenere il massimo effetto, ritengono i ricercatori del progetto, si ha l’opportunità di sostenere i luoghi con maggiore concentrazione di biodiversità e le persone per le quali tali paradisi sono una casa.
“In the early stages of creation of both art and science, everything in the mind is a story.”
The first collection my work landed in was the E.O. Wilson Biodiversity Foundation. Mourning his death, inspired by his work, in awe of a life in service to the more-than-human world. pic.twitter.com/oIQF3yKtEr
— Lauren Strohacker (@StrohackerArt) December 27, 2021
Wilson, noto anche come “l’uomo delle formiche” per i suoi studi su questi insetti, ha trascorso gli ultimi anni in una residenza per pensionati vicino a Boston. “Il Santo Graal di Ed era il puro piacere della ricerca della conoscenza. Un implacabile sintetizzatore di idee, la sua coraggiosa attenzione scientifica e la sua voce poetica hanno trasformato il nostro modo di capire noi stessi e il nostro pianeta. La sua più grande speranza era che gli studenti di tutto il mondo condividessero la sua passione per la scoperta come ultima base scientifica per la futura gestione del nostro pianeta. Il suo dono era una profonda fiducia nelle persone e nella nostra volontà umana condivisa di salvare il mondo naturale”, ha detto Paula J. Ehrlich, amministratrice delegata e presidente della E.O. Wilson Biodiversity Foundation, e co-fondatrice del Progetto HalfEarth.