La gestione dei rifiuti di plastica è una delle grandi sfide ambientali dei nostri giorni. Si tratta infatti di un materiale che impiega moltissimo tempo a degradarsi e trovare dei modi innovativi per riciclarlo ci permetterebbe di risolvere almeno in parte il problema. Proprio su questo fronte, un gruppo di ricercatori e ricercatrici coordinato da Guoliang Liu, docente presso il dipartimento di Chimica del Virginia Tech (Stati Uniti), ha messo a punto un nuovo metodo per riciclare alcuni tipi di plastica (il polietilene e il polipropilene), convertendoli almeno in parte in sapone.

La tecnica è stata descritta in uno studio pubblicato su Nature Sustainability e prevede due step. Nel primo la plastica viene sottoposta a un processo noto come termolisi. Viene cioè scaldata a una temperatura molto elevata, compresa fra 340 e quasi 400 gradi centigradi, in modo da causare la rottura di alcuni dei legami chimici che tengono insieme gli atomi di cui è costituita. Questo porta all’ottenimento di una miscela di olio, gas e solidi residui. Questi ultimi sono una componente minima, mentre la parte gassosa, spiegano i ricercatori, potrebbe essere catturata e utilizzata come combustibile. Infine, la componente oleosa è quella sulla quale gli autori dello studio si sono focalizzati, cercando appunto un modo per riciclarla.

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A questo punto è necessario fare un passo indietro. Le plastiche come il polietilene e il polipropilene sono formate da lunghe catene alchiliche, costituite cioè da carbonio e idrogeno. La parte difficile del processo studiato da Liu e colleghi, spiegano nello studio appena pubblicato, è riuscire a “spezzettare” queste lunghe catene ottenendo dei frammenti di lunghezze non casuali, che possano poi essere riutilizzati. Grazie a un gradiente di temperature studiato ad hoc, la tecnica appena messa a punto risponderebbe proprio a questa esigenza, e porterebbe all’ottenimento di frammenti costituiti in media da 14 atomi di carbonio (e dai rispettivi atomi di idrogeno), che vanno a formare la parte oleosa a seguito del processo di termolisi.

Qui interviene il secondo step del processo: la funzionalizzazione di questi “frammenti”, ossia l’apporto di quelle modifiche chimiche che consentono di convertirli in saponi. Questi ultimi sono tipicamente costituiti da una catena alchilica, appunto, e da una cosiddetta “testa polare”, in grado di interagire con l’acqua. La testa polare è quella che deve essere inserita attraverso il secondo step del processo appena messo a punto dagli autori dello studio. In queso modo si riescono ad ottenere dei prodotti stabili, spiega Liu: “Questa fiala di sapone direi che si trova nel mio ufficio già da un anno. [E il sapone contenuto al suo interno, nda] può essere usato per lavarsi le mani e per lavare i piatti. Lo abbiamo usato per lavare la nostra vetreria in laboratorio”. Adesso, concludono gli autori, la sfida sarà convertire il processo agli standard industriali. Un passaggio, sottolineano, che richiederà l’investimento di molti fondi e risorse.