Dici Murano e pensi al vetro. È così dalla fine del tredicesimo secolo, quando un editto del Doge Tiepolo impose di spostare tutte le fornaci sull’isola. Una tradizione nobile, vanto della Repubblica Serenissima, ammirata e celebrata nei quattro angoli del mondo. E che con il passare dei secoli ha resistito a crisi economiche, globalizzazione, imitazioni a basso costo. Da ultimo al Covid, alla scomparsa del turismo che a Venezia è croce e delizia. Una tradizione che ora però vacilla. Una tempesta incombe, da mesi, sull’arte del vetro. Una minaccia che, ironia della sorte, arriva da quel carburante indispensabile che muove il motore dell’isola e della sua tradizione: il gas.
Dal primo ottobre, il prezzo della materia prima è schizzato alle stelle: da 0, 23 a 0, 90 centesimi, poi 1,20 al metro cubo. Addirittura a picchi di 2 euro, nel mese di dicembre. Percentuali di crescita non sopportabili, superiori al 500%. Otto milioni di metri cubi l’anno, questo il consumo di metano a Murano per la produzione artigianale. Tradotto in euro: dai due milioni all’anno a più di otto.
Una stangata le cui motivazioni sono da ricercare all’estero, alla crisi delle materie prime. I cui effetti però sono ricaduti in tutta Italia. Soprattutto sulle piccole aziende artigianali. Soprattutto su quelle cosiddette energivore: a Murano, infatti, le fornaci devono restare accese 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Non c’è scampo: troppo lunghe e troppo costose le procedure per spegnerle e riaccenderle. Eppure il tempo passa inesorabile, e ogni settimana il baratro si avvicina. Sempre più. Mano a mano, le fornaci dell’isola (circa 60 in tutto) stanno spegnendosi in attesa – e nella speranza – di tempi migliori.
È il caso ad esempio della EffeTre. Dotata di sei fornaci, 6-700 tonnellate di vetro semilavorato all’anno grazie al consumo di 1,5 milioni di metri cubi di metano, conta 34 dipendenti. Per loro, oggi, non c’è certezza del futuro. “Non so quando riaccenderemo i forni”, conferma Cristiano Ferro, il titolare. Così come non ci sono certezze per gli oltre 600 lavoratori dell’indotto, compresi i piccoli artigiani e i maestri del vetro soffiato come Simone Cenedese, da oltre trent’anni nell’azienda di famiglia con venti dipendenti. Ai rincari di gas ed elettricità si sono poi aggiunti quelli delle materie prime (minerali come la sabbia e la calce usati per le lavorazioni), dei trasporti, degli imballaggi. A cascata, anche la manna degli ordinativi – soprattutto quelli più ingenti dall’estero – è stata stoppati da mille incognite. Non si sono fermate però le bollette.
Le risorse economiche si sono assottigliate. Ecco perché le associazioni di categoria (Confartigianato, Confindustria, Consorzio Promovetro) chiedono interventi risolutori che finora, però, non ci sono stati. Vero, uno stanziamento da 3 milioni di euro della Regione Veneto in novembre ha regalato una boccata d’ossigeno. “Ma i soldi sono già quasi esauriti”, conferma allarmato il segretario della Confartigianato di Venezia, Gianni De Checchi. Così come al momento non ci sono garanzie sui cinque milioni complessivi stanziati a fine dicembre dal governo a favore del comparto del vetro e della ceramica, alle prese con i rincari energetici. Dei decreti attuativi, per ora, nemmeno l’ombra. E così l’orizzonte di sopravvivenza per il vetro di Murano si restringe. Il mondo guarda con apprensione. Si parla di mesi, pochi. Poi calerà il buio. Su qualcosa di più grande rispetto ai luminosi pezzi di vetro artistico celebri in ogni angolo del globo. In ballo c’è infatti una tradizione secolare che unisce la maestria artigiana alla ricchezza della natura. Gas, e questioni di politica estera, permettendo.