Un villaggio maya, l’unico di quella cultura sopravvissuto sino ai giorni nostri. Questo è Joya de Cerén, un luogo che si trova nel piccolo stato del Salvador e che vanta un’altra peculiarità: quella di essere sopravvissuto a eruzioni di ben quattro vulcani diversi, fino all’ultima, distruttiva, del VII secolo d. C, quando il Loma Caldera la rase al suolo, paradossalmente proteggendo le sue forme, che sono pervenute relativamente intonse ai giorni nostri.
La tragedia di questa Pompei latinoamericana – secondo quanto hanno appurato gli studiosi che la scandagliano da quando fu scoperta, nel 1976 – non avrebbe provocato vittime umane, perlomeno non a livello di ecatombe. La tesi più accreditata è quella che la popolazione locale sia riuscita a fuggire, lasciando però in loco la gran parte dei propri averi. Il che contribuisce – come si vede dalle immagini – al fascino del museo che le è stato creato attorno, e che da pochissimo può definirsi tale a tutti gli effetti: oltre alle case, conservate ottimamente, il luogo offre una vastissima collezione di oggetti e ceramiche, con i disegni riproducenti la fauna dell’area, scimmie, uccelli o granchi.
Già perché, come detto la peculiarità di Joya de Cerén è quella di essere un centro abitato, un borgo, mentre le altre, grandiose, vestigia maya che si trovano in Messico e nel Centro America sono piramidi, templi, luoghi di culto, palazzi. “Noi qui invece possiamo svelare la quotidianità di quella cultura, la loro agricoltura, il modo in cui queste persone mangiavano, vivevano, costruivano le case – racconta all’agenzia di stampa France Presse Roselia Duarte, una delle guide del sito.
La novità di cui i prossimi visitatori potranno beneficiare è uno di quei non pochi casi di intervento che – a bocce ferme causa pandemia – stati e amministrazioni locali sono riusciti a portare a termine, utilizzando il break forzato da cause di forza maggiore a proprio vantaggio. Pur iscritta nel Patrimonio Unesco dal 1993 Joya de Cerén era a malapena protetta da un tendaggio provvisorio, tutt’altro che sufficiente a garantirne la conservazione nel tempo. Ora, un soffitto gigantesco, un percorso sopraelevato e costellato di pannelli ricchi di informazioni (anche in braille) e immagini, costato oltre un milione di euro, permette ai visitatori una fruizione completa e minimamente invasiva.
“È come una capsula del tempo”, spiega l’archeologa Michelle Toledo, “una finestra intatta sulla vita domestica di un nucleo maya del periodo Tardo Classico, il cui villaggio venne sepolto da un’eruzione, e per questo si è conservato in maniera eccezionale”.
“Ora che l’area è così ben protetta – continua la studiosa – possiamo avviare ulteriori progetti di investigazione, avviare scavi che ci faranno scoprire ancora di più”. Il temazcal, il recinto che fungeva da sauna per la “purificazione” religiosa, e la casa dello sciamano per la divinazione, sono due delle strutture che già ora si possono vedere nella loro interezza, dopo la ristrutturazione.