ROMA – Aumentare la produzione di energia delle centrali a carbone, sbloccare l’estrazione di più gas, dare una spinta fortissima ai nuovi parchi eolici, solari e geotermici. È il pacchetto di norme che il governo sta preparando in queste ore, da inserire nel decreto che sarà approvato la prossima settimana. L’obiettivo è mettere in campo tutte le risorse energetiche nazionali disponibili per far fronte a una situazione critica ed essere pronti ad affrontare l’eventuale blocco delle forniture da Mosca.

Ecco perché accanto alle norme annunciate per una drastica semplificazione delle autorizzazioni per le rinnovabili, che potrebbero portare anche alla nomina di un commissario taglia-burocrazia, si sta studiando come aumentare in tempi brevi l’energia prodotta da carbone e potenziare le estrazioni da giacimenti nazionali di gas naturale.

Dalle sei centrali a carbone ancora attive in Italia arriva oggi il 6% dell’energia consumata nel Paese. Ma il potenziale è più alto. A Civitavecchia è in funzione una unità produttiva, si può arrivare a due o anche a tre. A Brindisi e Monfalcone può essere intensificata l’attività. Il governo non ha intenzione di riaprire gli impianti già chiusi o aprirne di nuovi, però secondo le stime se si investe sulle centrali già attive si può arrivare a soddisfare fino al 10% della domanda di energia nazionale, con un aumento del 4% che potrebbe avvenire in tempi brevissimi.

Bisognerebbe importare più carbone in un momento di forte carenza delle materie prime sul mercato mondiale, ma c’è disponibilità in Australia e probabilmente si andrà a comprare lì. Non a caso, l’altro problema è la copertura dei costi aggiuntivi a carico delle aziende, visto l’azzeramento degli oneri di sistema adottato dall’esecutivo per abbassare le bollette. Ma quel che serve per sbloccare l’operazione è soprattutto una norma che intervenga sulla tempistica del piano di decarbonizzazione adottato dal nostro Paese, che pone limiti stringenti a quanto si può produrre e indica al 2025 la chiusura delle centrali. È questa la norma che si sta valutando in queste ore e dovrebbe entrare nel decreto.

Più complesso il quadro per il gas. Il governo sta infatti studiando come aumentare le estrazioni nei giacimenti attivi e superare i vincoli stabiliti dal Pitesai, il Piano della transizione energetica sostenibile che individua le aree in cui si può svolgere la prospezione di idrocarburi sul territorio nazionale. Sul tavolo ci sarebbe anche l’opzione di riattivare i pozzi ora chiusi, ma per il momento l’esecutivo potrebbe limitarsi a intervenire solo su quelli già operativi. Ancora più difficile sarebbe la terza opzione, anch’essa al vaglio: nuove trivellazioni nell’alto Adriatico.

Finora infatti hanno vinto le obiezioni degli enti locali e delle associazioni ambientaliste che denunciano i rischi di subsidenza, il fenomeno che provoca lo sprofondamento del bacino marino, in particolare per la laguna di Venezia, anche se gli studiosi sono divisi e i report forniti dalle aziende al governo smentirebbero le ragioni di questi allarmi.

Le valutazioni proseguiranno nei prossimi giorni: c’è tempo probabilmente fino a giovedì, quando arriverà in Consiglio dei ministri il maxi-decreto sull’energia, che conterrà anche le nuove misure da 6 miliardi contro i rincari di benzina, bollette e materie prime. Per capire cosa serva per aumentare l’estrazione di metano nei giacimenti del basso Adriatico e in Sicilia il governo ha iniziato le interlocuzioni con le aziende energetiche. Non è chiaro se sia necessaria una norma nazionale, se addirittura non serva la creazione di un commissario che avochi a sé tutti i poteri o se bastino autorizzazioni regionali. In teoria il potenziale è enorme. Le riserve complessive dell’alto Adriatico sono 40 miliardi di metri cubi. Nel canale di Sicilia ci sono fino a 10 miliardi di metri cubi.