“L’Esg è morto, viva l’Esg”, si potrebbe dire parafrasando una formula francese utilizzata al momento della successione alla guida del regno, per sottolineare la continuità ininterrotta della monarchia. Per diversi anni le tematiche legate alla sostenibilità ambientale, all’inclusione sociale e alla governance sono state in cima alla comunicazione delle aziende, soprattutto quelle più esposte verso i consumatori finali. Oggi se ne parla meno, ma non è detto che sia un male.

Nuovo orientamento

Il vento è cambiato con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e con le conseguenti tensioni tra superpotenze che hanno portato in primo piano l’esigenza di rafforzare i sistemi di difesa in Occidente. Soprattutto negli Stati Uniti si sono sollevate voci di alti rappresentanti istituzionali che hanno invitato le aziende a concentrarsi sui risultati di bilancio, senza “distrazioni” di sorta.

I riflessi del cambio di orientamento si avvertono anche sull’altra sponda dell’Atlantico. Nel secondo trimestre, segnala Morningstar, i flussi verso gli Etf Esg in Europa si sono fermati a 4,7 miliardi di euro, in forte frenata dai 7,6 miliardi del periodo gennaio-marzo. Nel medesimo periodo, la loro incidenza sui flussi totali si è quasi dimezzata, passando dal 17 al 9%.

I giovani spingono le aziende verso scelte virtuose

Tendenze che indicano un declino ineluttabile? Ad approfondire i dati, sembrerebbe di no. In primis ci sono ragioni congiunturali: le aziende impegnate nella transizione verso la sostenibilità devono affrontare investimenti significativi per realizzarla e i tassi di interesse elevati dell’ultimo triennio hanno penalizzato la redditività. Con l’allentamento monetario da poco partito, la situazione cambia.

In più va detto che non è calata l’attenzione delle aziende verso queste tematiche, piuttosto c’è maggiore attenzione nella comunicazione, complici le normative sempre più stringenti per contrastare il greenwashing, cioè l’impegno ambientale solo di facciata.

Cambiando prospettiva, secondo un sondaggio condotto da Bain & Company su quasi 200 mila consumatori, l’Esg è divenuto uno dei tre principali criteri di acquisto per oltre la metà dei consumatori a livello globale. Questo significa che sempre più spesso i clienti recidono i rapporti con le imprese poco attente alle questioni ambientali, sociali e di governance, con accenti più marcati tra le nuove generazioni.

Cresce la redditività

Per altro, un altro studio della stessa Bain segnala che le aziende con i punteggi più elevati sul fronte della sostenibilità hanno ottenuto una crescita dei ricavi e della redditività cinque volte superiore a quelle che hanno ottenuto il punteggio più basso. Una differenza che si spiega anche alla luce di fenomeni come il cambiamento climatico e il contrasto crescente alle discriminazioni. In sostanza, adottare un approccio Esg significa considerare anche altri fattori di rischio accanto a quelli tradizionali e spinge a ricalibrare di conseguenza le strategie di crescita orientate al medio e al lungo termine.

In un documento congiunto, Europarlamento e Commissione europea evidenziano un aspetto cruciale. Per le aziende, ormai, non si tratta solo di adottare un approccio responsabile verso terzi; è nel loro stesso interesse considerare questi rischi nell’ambito dei rispettivi piani industriali per puntare a una crescita sostenibile.

La direttiva comunitaria Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive) ha previsto un calendario che tenderà ad aumentare sempre più il numero di imprese tenute a pubblicare report dettagliati sui loro dati di sostenibilità. L’obiettivo di Bruxelles è “ridurre il greenwashing, rafforzare l’economia sociale del mercato Ue e gettare le basi per standard di trasparenza sulla sostenibilità a livello mondiale”. Così il Vecchio Continente punta a confermarsi il motore del cambiamento di paradigma economico negli anni a venire.