“Ero bambino e con altre quattro persone sciavo sul crinale di una montagna norvegese, una pista che ritenevamo sicura. Ero il primo del gruppo. Improvvisamente le quattro persone dietro di me furono travolte da una grande valanga: tra loro c’era mio padre. In pochi secondi gli altri tre riemersero dalla neve scavando, ma lui rimase sepolto. Per fortuna vedemmo l’estremità di uno dei suoi bastoncini da sci, scavammo e riuscimmo a riportarlo alla luce prima che soffocasse. Questo episodio ha certamente reso più profondo il mio rispetto per le forze della natura e il mio rapporto con esse”.

Per Espen Stoknes oggi ha 56 anni ed è uno dei maggiori esperti mondiali di psicologia ed economia del clima. O meglio: studia i meccanismi psicologici che sono alla base delle scelte economiche necessarie a contrastare i cambiamenti climatici. Tiene conferenze e TED in giro per il mondo, dirige il Centro per la Sostenibilità e l’Energia della Norwegian Business School di Oslo e scrive saggi sull’oggetto delle sue ricerche: l’ultimo, pubblicato in Italia da FrancoAngeli, è L’economia di domani.

Ma le origini del suo approccio “psico-economico” al domani vanno cercate nello “ieri”, forse proprio in quegli anni dell’infanzia trascorsi completamente immerso nella maestosa natura norvegese. Stoknes è nato nel 1967 a Ålesund, 500 chilometri a nordovest di Oslo, cittadina distesa su una lingua di terra e circondata da fiordi. “Sì, ho un rapporto speciale con la montagna”, confessa lo studioso, “ed è nato proprio lì: tra fiordi e cime innevate. La natura è il luogo dove mi sento più a casa, un mondo che travalica quello umano, è la mia famiglia allargata, il mio Sé ecologico”.

Dopo quello con la natura, l’incontro folgorante con la psicologia: “Avevo 16 anni e in biblioteca vidi un libro di Carl G. Jung: Presente e futuro. La sua lettura mi spinse a voler comprendere il lato oscuro della natura umana. Quando restituii il libro avevo ormai deciso che sarei diventato uno psicologo, per quanto non ne avessi mai incontrato uno e non sapessi esattamente che cosa facessero gli psicologi. La cittadina di Ålesund era popolata da ingegneri, pescatori e piccoli commercianti, tutti convinti materialisti che guardavano alla psicologia con un sospetto che rasentava il disprezzo”.

Da lì, la laurea in psicologia e poi un dottorato in economia all’Università di Oslo. “Una decina di anni dopo la folgorazione in biblioteca portai a termine la mia formazione e cominciai la libera professione a Kongsberg, una cittadina industriale svedese, la cui economia si reggeva soprattutto sull’industria delle armi e su quella nautica ad alta tecnologia. Per mia fortuna, non mancavano le persone infelici e quindi nemmeno il lavoro”. Ma la sensazione di non essere abbastanza d’aiuto ai pazienti avrebbe spinto Stoknes verso una nuova svolta: “Pareva non esserci fine al flusso incessante di lavoratori sfruttati e poi gettati via, che soffrivano di esaurimento e insonnia, preoccupati di non fare mai abbastanza, incapaci di essere all’altezza delle aspettative della famiglia e del lavoro, ricettacoli di paure inoculate in loro da un sistema che sa poco o nulla di ciò che significa ‘capitale umano’. Quindi spostai la mia attenzione direttamente sulla macchina dell’economia. Sembrava più efficace affrontare in modo proattivo la causa sistemica, il modo in cui le organizzazioni economiche avevano deciso di coltivare e trattare le loro risorse umane, invece che limitarmi a curare i sintomi. Deluso dalla tribù degli psicologi mi rivolsi a quella degli economisti”.

Lo psicologo Per Espen Stoknes approda così alla Norwegian Business School. Ed è lì che comincia a occuparsi anche di ambiente. “Ho iniziato a interessarmi al cambiamento climatico nei primi anni Novanta”, racconta Stoknes. “I miei studi in psicologia junghiana mi avevano portato a contatto con l’eco-filosofia, in particolare con le opere del filosofo e alpinista norvegese Arne Naess. All’epoca si cominciava a parlare diffusamente di riscaldamento globale, ma gli scritti di Naess contribuirono a spostare il dibattito a livello esistenziale”.

Ma cosa può fare oggi la psicologia per il clima? “Sappiamo abbastanza del sistema climatico dal punto di vista scientifico. Dal punto di vista tecnico è chiaro cosa dovrebbe essere fatto. Invece, non sappiamo abbastanza su come convincere le persone a rispondere alla scienza del clima in modo costruttivo e impegnato. Ecco, la psicologia può aiutare a modellare la comunicazione della scienza del clima in un approccio e una direzione più costruttivi e aumentare la motivazione delle persone a lungo termine”.

Ma può anche aiutare chi, bombardato dalle notizie di disastri reali e catastrofi imminenti si sente paralizzato dall’ansia e dall’angoscia. “Ansia e angoscia sono risposte adeguate e appropriate al riscaldamento globale,  quindi non dovremmo giudicare o condannare quei sentimenti se si manifestano in noi stessi o negli altri. Tuttavia”, aggiunge Stoknes, “la sfida è incanalare l’energia di queste emozioni verso l’impegno nella comunità e l’azione coordinata. Ogni minaccia andrebbe bilanciata con azioni costruttive, stando insieme agli altri e costruendo una storia condivisa su dove vogliamo andare. Anche a me capita di essere sopraffatto dall’angoscia per quello che sta succedendo. E quando succede mi arrendo e lascio che le emozioni fluiscano attraverso di me. Una volta passato, questo rende più profondo e determinato il mio coinvolgimento: il cuore esce dal torpore verso un’empatia più profonda. La speranza non dipende dalla vittoria o da un risultato positivo, si rinnova ogni volta che si decide di agire”.

Ed è questo l’approccio innovativo di Per Espen Stoknes alle vicende climatiche: non solo la denuncia di quanto sta accadendo, delle temperature in salita, dei mari che si alzano di livello, dei rischi ulteriori che correremo se sforeremo il tetto di 1,5 gradi di riscaldamento sancito dagli Accordi di Parigi del 2015. Stoknes va ben oltre i cahiers de doléances: concepisce e propone soluzioni per prevenire i rischi futuri e contenere quelli attuali. L’esempio più concreto e recente è il suo contributo al rapporto Earth4All del Club of Rome, di cui è membro. Oltre a far parte del team che ha redatto i modelli economici su cui il rapporto si basa, Stoknes è membro del ristretto team di coordinamento del progetto, insieme alla co-presidente del Club of Rome Sandrine Dixson-Declève e a Owen Gaffney, analista dell’Istituto di Potsdam per il clima (Pik).

Earth4All identifica cinque cambiamenti straordinari, necessari per creare benessere per tutti su un Pianeta (relativamente) stabile. Cinque svolte per ripensare la crescita economica come misura del progresso e impostare le nostre società su un percorso sicuro. Proprio quello che sostiene Stoknes nel suo libro L’economia di domani: una guida per creare una crescita sana e green. Lo studioso parte da concetto di crescita e da quanto sia diventato divisivo: “C’è un gruppo di persone non ne ha mai abbastanza”, racconta. “E un secondo gruppo che fa persino fatica a pronunciare la parola ‘crescita’. Cercando di mediare tra le due posizioni, precipito sempre nell’abisso che le separa… I verdi sostengono che ho l’aria di un economista (credo che si tratti di un insulto). Gli economisti ritengono che parli come un verde alternativo (un altro insulto). Ma la mediazione e il problem-solving sono la mia vocazione. Quindi, ascolto entrambe le parti e cerco di trovare nuove direzioni verso un terreno condiviso. Il libro è la mia risposta personale a entrambi gli schieramenti e a qualunque lettore che sia alle prese con la questione della crescita, sia sul piano personale che su quello teorico”.

Espen Stoknes si rivolge Parlamento norvegese indossando i colori per i diritti LGBTQ+ il 18 giugno 2021 (foto: Terje Pedersen/Ntb/Afp via Getty  Images)
Espen Stoknes si rivolge Parlamento norvegese indossando i colori per i diritti LGBTQ+ il 18 giugno 2021 (foto: Terje Pedersen/Ntb/Afp via Getty Images) 

E la risposta è appunto la “crescita sana”: “Significa una crescita rigenerativa che non genera sprechi”, spiega il professore. “Non più basata sul lavoro, ma sulla disponibilità delle risorse. Se riusciamo a produrre di più con meno materie prime e energia, evitiamo di distruggere il pianeta entro il 2050. C’è poi un problema di disuguaglianza sociale che non può più aspettare. Se continuiamo a sfruttare le risorse che abbiamo, arricchendo solo un numero limitato di persone, il sistema mondiale imploderà. Per questo auspico che venga abbandonato il modello di crescita lineare, basato solo su risorse e lavoro. Ripensiamo a come calcolare il vecchio Pil in modo completamente nuovo, ponendo tra i parametri della crescita anche un uso produttivo delle risorse e l’inclusività. Non abbiamo molte alternative”.

Dunque: non decrescita, ma crescita sana. Non terrorismo climatico, ma proposte concrete per contrastare le crisi. Stoknes crede che le buone notizie siano un propellente fondamentale per motivare le persone a battere nuove strade. E l’ultima buona notizia ce l’ha data lui stesso in un articolo scientifico firmato insieme Beniamino Callegari: la popolazione mondiale crescerà meno del previsto, fermandosi al di sotto dei nove miliardi di persone alla metà del secolo per poi iniziare a scendere. Stoknes e Callegari hanno utilizzato i modelli dell’iniziativa Earth4All e hanno simulato due scenari. Quello denominato “troppo poco, troppo tardi”, se si dovesse lasciare invariata la situazione attuale, e quello del “salto da gigante”, nel caso venissero implementate le cinque svolte auspicate da Earth4All.

Nel primo scenario i ricercatori stimano che la popolazione globale potrebbe raggiungere il picco di 8,6 miliardi nel 2050 prima di scendere a 7 miliardi nel 2100. Nel secondo scenario la popolazione raggiungerebbe il picco di 8,5 miliardi di persone intorno al 2040 per poi scendere a circa 6 miliardi di persone entro la fine del secolo. Ciò si potrebbe ottenere, secondo gli autori, attraverso investimenti senza precedenti nella riduzione della povertà, in particolare investimenti nell’istruzione e nella sanità, insieme a straordinari cambiamenti politici in materia di sicurezza alimentare ed energetica, disuguaglianza ed equità di genere. In questo scenario la povertà estrema verrebbe eliminata in una generazione (entro il 2060) con un forte impatto sui trend della popolazione globale. “Sappiamo che il rapido sviluppo economico nei Paesi a basso reddito ha un enorme impatto sui tassi di fertilità”, spiega Stoknes. “I tassi di fertilità diminuiscono man mano che le ragazze ottengono l’accesso all’istruzione e le donne si emancipano economicamente e hanno accesso a un’assistenza sanitaria migliore”. In ogni caso, stando ai calcoli di Stoknes e Callegari, la Terra non dovrà sfamare 10 miliardi di persone, non almeno nel corso di questo secolo.

“Come trasformare la fatica dell’apocalisse in azione sul riscaldamento globale” è il titolo di un celeberrimo TED (l’hanno visto 3 milioni e 300mila utenti) messo in scena da Per Espen Stoknes a New York nel 2017. Lo psicologo-economista spiega come le persone non dovrebbero essere terrorizzate dalle notizie sul clima, ma piuttosto incoraggiate a fare la loro parte. “Da allora le cose sono effettivamente cambiate. Lo vedo nel modo in cui i media affrontano il problema, ma anche nel lavoro delle ong, o degli imprenditori che stanno modificando in tal senso le loro strategie di business. Perché le soluzioni, sociali, personali o tecniche, esistono. Si tratta solo di adottarle. Io credo davvero che la crisi climatica sia una opportunità esistenziale e cruciale per abbandonare definitivamente i fallimenti dell’industria estrattiva del Novecento e per entrare in un modo più giusto ed equo. Condividiamo tutti la stessa aria, lo stesso vento, gli stessi oceani: quello che sta succedendo al clima ci impone di collaborare e di mettere in campo quelle soluzioni, senza tener conto dei confini che ci dividono”.