È la lista più votata tra gli studenti fuorisede: il 40,35% di loro ha scelto Alleanza Verdi Sinistra. Il partito di Bonelli e Fratoianni è il preferito dai giovani che alle elezioni europee, hanno spiegato gli analisti, non hanno votato il candidato “meno peggio”, ma hanno fatto una scelta precisa. Votando chi in campagna elettorale ha toccato temi ecologisti, di  giustizia sociale e diritti umani. In realtà, c’è chi qualche segnale lo aveva intercettato. “Avevo capito che i ragazzi ci avrebbero scelto: oltre che sul territorio ho fatto una campagna sui social e alcuni video sono diventati virali”. Cristina Guarda, 34 anni vicentina, imprenditrice agricola e ecologista è in politica da quando ne aveva 25 e venne eletta in consiglio regionale del Veneto. “La prima volta che il governatore Zaia mi ha vista, ha stretto la mano a tutti anziché a me, credeva fossi un’assistente. Ancora adesso chi mi incontra si rivolge al mio assistente, perché è un uomo”. Nove anni dopo è stata eletta europarlamentare, candidata con Avs con 33.078 voti nella circoscrizione Nord Est. Siederà con i colleghi nel gruppo European Greens. Il suo impegno politico a Bruxelles è chiaro: la costruzione del nuovo Green Deal, la progettazione del futuro Piano per l’agricoltura, quello del 2027 e la tutela dei territori e delle comunità montane. Non a caso ha già chiesto al suo partito di poter partecipare ai lavori della commissione permanente del Parlamento europeo REGI, quella che si occupa dello sviluppo regionale.

 

Green Deal e la difesa degli obiettivi 2030 e 2050. Non sarà semplice. Quali potrebbe essere le risposte efficaci da parte della Ue per non frenare i Verdi?

“Innanzitutto dobbiamo finanziarlo, il nuovo Green Deal. Mancano 400 miliardi all’anno per finanziare il piano della mobilità, quello energetico e dell’agricoltura. Bisogna rivedere il modo in cui durante la passata legislatura sono stati distribuiti sussidi, bonus e incentivi. Ad esempio dati a chi ancora usa i combustibili fossili. E dall’altra parte penso sia necessario mettere in piedi forme di tassazione che vadano ad impattare il mondo della finanza e quello industriale. Abbiamo fatto passare un linguaggio sbagliato: la transazione non può ricadere sulle spalle delle famiglie e delle piccole imprese, perché con un reddito medio come si può innovare la propria abitazione o azienda? Servono supporti economici. La transazione ecologica e tutta l’innovazione di cui c’è bisogno deve essere per tutti. Accessibile a prezzi ragionevoli”.

L’agricoltura sarà un tema centrale a Bruxelles e inevitabilmente collegata alla crisi climatica. Ma tra i primi a volere un Green Deal “depotenziato” ci sono le lobby degli agricoltori e allevatori. Quali potrebbero essere le risposte efficaci da parte della Ue?

“Il disagio parte da ragioni profonde, non si può ridurre ai contadini che non pagano le tasse, ricevono i sussidi, inquinano e non vogliono le norme ambientali. Parlando con gli agricoltori che sono scesi in piazza, mi sono resa conto che avevano richieste differenti, chi protestava per l’eccesso di burocrazia della Politica agricola europea, chi contro gli accordi commerciali internazionali oppure per questioni nazionali di ogni singolo paese. Ma il problema di fondo resta la crisi del reddito e su questo l’Unione europea deve fare il possibile per arrivare al miglioramento delle condizioni, ma soprattutto realizzare una distribuzione più equa del valore lungo la catena di distribuzione agroalimentare”.

Come riuscire a considerare l’agricoltore un alleato della transizione e non un nemico? Cosa si dovrebbe fare per bilanciare la dimensione ambientale con quella economica e sociale?

“Mettendo bonus ecologici, ponendo un tetto ai sussidi che vengono date alle aziende più grandi. Bisogna incentivare un modello che sia sostenibile, ma anche produttivo. I due aspetti non sono in contraddizione perché il cambiamento climatico rappresenta una minaccia anche per la sicurezza alimentare. Un aspetto che noi Verdi abbiamo sempre criticato è che i sussidi vengono distribuiti in base alle dimensioni delle aziende agricole, senza valutare se si stia coltivando in maniera sostenibile dal punto di vista ambientale ma anche sociale, etico ed economico. Contano solo le dimensioni, così la parte più consistente dei sussidi vengono date alle aziende più grandi. Va riconosciuto che gli agricoltori che svolgono una pratica rispettosa dell’ambiente, stanno fornendo anche un servizio alla collettività. Dobbiamo garantire che gli agricoltori più piccoli, in alcune zone come quelle rurali sono loro a mettere in moto l’economia, possono accedere agli incentivi.”

Alla luce della rapidità che hanno gli impatti ambientali sui mercati agricoli e alimentari, ha ancora senso programmare una Pac della durata di sette anni? E come dovrebbe essere quella post 2027?

“La durata di sette anni è un tempo minino per la programmazione. Cambiare le regole troppo spesso non ha senso, anche perché abbiamo già un’immagine di cosa accadrà nei prossimi 70 anni. Il prossimo Piano però deve essere coraggioso. Non possiamo lasciare la politica agricola del futuro ancora nelle mani delle grandi lobby di agricoltori. Quel tipo di agricoltura industriale che si basa su sementi, pesticidi e fertilizzanti venduti da grandi multinazionali che hanno in mano più del 70% delle sementi, ma anche la genetica animale, la grande distribuzione, persino il trasporto degli alimenti. I grandi gruppi finanziari e multinazionali sono gli unici a guadagnare dall’agricoltura industriale e dagli allevamenti intensivi. Tutti gli altri, contadini, allevatori e consumatori ci perdono”.


E con loro i cittadini europei…

“Se lasciamo i contadini da soli senza accompagnarli verso una transizione ecologica, lasciandoli ad una  produzione intensiva che non dà frutti economici, i cittadini si ritroveranno a nutrirsi di prodotti scadenti e a vivere in una ambiente sempre più nocivo. Anche i consumatori però vanno sensibilizzati a riconoscere il valore dei prodotti coltivati nel rispetto dell’ambiente. Abbiamo davanti a noi questi anni in cui bisognerà avere una visione collettiva, senza ragionare a settori. Soprattutto con una visione a lungo temrine”.