“Mi dicevo: mettiamo il fotovoltaico sul tetto del condominio. Non sarà tanto, ma ci permetterà almeno di coprire le utenze condominiali. Non me lo fecero installare né per uso collettivo né per uso personale. La legge lo vietava. La cosa non mi andò giù”. Inizia così l’iter legislativo che ha introdotto in Europa le comunità energetiche. Dario Tamburrano, eurodeputato per il Movimento 5 Stelle eletto nella circoscrizione Italia Centrale con 13 mila preferenze è un volto noto dell’ambientalismo europeo soprattutto sul fronte della politica energetica.

Il suo è un ritorno in Europa dove è stato parlamentare dal 2014 al 2019 impegnato soprattutto nella Commissione per l’Industria, la Ricerca, l’Energia e le Telecomunicazioni (ITRE). La sua influenza è stata riconosciuta a livello internazionale quando, nel dicembre 2016, l’osservatorio indipendente VoteWatch.eu lo ha classificato tra i cinque deputati più influenti in materia di politiche energetiche dell’Ue. Esperto anche di tecnologia è stato relatore della normativa che ha introdotto l’etichettatura energetica, il documento che informa i consumatori su caratteristiche e consumi di energia di ciascun elettrodomestico. “Molti pensano che il Parlamento Europeo non conti nulla nel processo legislativo, ma è falso. Spesso, ad esempio, un parlamentare realizza dei report su determinati temi esprimendo una visione o una proposta. E tutti i processi legislativi successivi vengono comunque elaborati all’interno dei gruppi politici. È un percorso collettivo, lungo, burocratico che ha il suo significato”.

Partiamo dal risultato elettorale. Lei torna a Bruxelles dove si è occupato di politiche energetiche. Quali sono i dossier su cui vorrebbe lavorare nei prossimi cinque anni?

“La prima volta al Parlamento europeo ho scelto di lavorare nella Commissione ITRE per occuparmi di energia, industria, ricerca e telecomunicazioni, web e digitale incluso. Continuerò dunque a occuparmi degli stessi ambiti che non solo conosco, ma che ho continuato a seguire anche questi 5 anni. Nella prossima legislatura la Commissione europea presenterà proposte legislative sulla competitività che l’Ue ha chiesto ad Enrico Letta e che contiene la scoperta dell’acqua calda: rendere prevedibile e più basso il prezzo dell’energia. Ora superiore in Europa rispetto ad Usa e Cina. Le rinnovabili possono dare un contributo decisivo perché investimento iniziale a parte, il costo di produzione è infatti fisso. Indipendente dagli umori dei mercati e dalla geopolitica e tendente a un costo marginale zero. Questa stabilità non è garantita dai combustibili fossili”.

 

E come si realizza invece questa stabilità?

“Vanno corretti i meccanismi di formazione del prezzo dell’energia elettrica all’utente finale: ora basato solo sul costo del kilowatt fossile. Va introdotto il disaccoppiamento del prezzo del kWh rinnovabile da quello fossile, affinché famiglie e imprese, vedendo questi differenti prezzi riflessi nel costo della bolletta, comprendano il vantaggio delle rinnovabili e degli stoccaggi. Se i cittadini pagassero meno l’energia rinnovabile, avrebbero sicuramente un atteggiamento diverso nei confronti della transizione energetica e si accelererebbe la necessaria elettrificazione dei consumi”. 

 

Ma la riforma del mercato elettrico è stata appena approvata

“Bisogna rimetterci mano perché è inadeguata. Poi ci sarebbero anche altre innovazioni da introdurre sia a livello Ue che nazionale. Per citarne giusto una, la più semplice da attuare, riguarda il costo del servizio delle ricariche delle auto elettriche che andrebbe definito con dei limiti a livello Ue: noi in Italia stiamo ricevendo dall’Europa lauti incentivi previsti dal PNRR per creare una rete di ricarica, ma i prezzi alla colonnina sono del tutto ingiustificati e tra i più alti d’Europa. Questo rende sconveniente in molti casi il passaggio alla mobilità elettrica privata”.


Lei sostiene che per attuare la conversione ecologica  transizione energetica rinnovabile ed economia circolare devono restare in equilibrio permanente. Può spiegare in termini pratici cosa significa?

“Le attività umane sono possibili grazie alle risorse naturali del pianeta che non sono infinite e hanno un tasso di rigenerazione limitato. Le politiche economiche ed industriali Ue, che hanno fatto grande affidamento sul disaccoppiamento tra crescita economica, consumo di risorse ed inquinamento, si sono rivelate utili solo a procrastinare il momento del collasso dei sistemi ecologici globali. La popolazione sulla Terra arriverà a 9 miliardi di abitanti:  il modello nato con la rivoluzione industriale non è più sostenibile, e se non si cambia direzione ci aspetta o un collasso, o una grande guerra che riduca il numero di persone che vivono e consumano”. 

 

Come si finanzierà il Green Deal secondo atto? 

“Temo che potrebbe non esservi alcun secondo atto del Green Deal. Ha creato a suo tempo grande aspettative, ma un piano così ambizioso è irrealizzabile all’interno del modello economico del rinnovato Patto di stabilità e crescita, o dell’aumento dei tassi di interesse voluti dalla BCE. Le politiche di decarbonizzazione, come ad esempio la elettrificazione, le case green, la mobilità elettrica, non possono diventare delle nuove leggi suntuarie, dove solo i ricchi possono permettersi cose che per la maggioranza sono percepite come un lusso e che invece dovrebbero essere lo standard per tutti. Gli Usa hanno lanciato nel 2022 l’Inflation Reduction Act il più grande piano per la decarbonizzazione che fa uso di crediti fiscali mettendo in circolazione denaro senza chiederlo ai mercati finanziari. La Cina invece con l’economia di stato che permette una pianificazione pubblica industriale e commerciale si sta rivelando competitiva sul lungo periodo”.

In Italia il superbonus si basava sul medesimo modello degli Stati Uniti?

“Ma è stato prima lodato dalla Commissione europea, poi criminalizzato prima in Italia e poi nella stessa Europa”.

 

In Europa cosa non ha funzionato?

“In Europa c’è solo un Piano industriale per il Green Deal che è del tutto insufficiente. Se l’Europa non esce dalla morsa di questa situazione e non smette di farsi dettare le politiche energetiche ed industriali da attori geopolitici esterni e dai mercati finanziari, è destinata a diventare del tutto ininfluente, forse a sparire come attore globale, ben prima della fine di questo secolo”.

 

Siamo in tempo per recuperare?

“Non è mai troppo tardi per porre rimedio, ma bisogna smettere di credere che il resto del mondo sarà sempre disposto a fornirci tutto ciò di cui abbiamo bisogno: questo è stato l’errore che ha distrutto l’industria europea. Povera com’è di materie prime, l’Europa deve pianificare la sua politica industriale mirando all’indipendenza. Ossia, di nuovo, rinnovabili ed economia circolare, ma anche sostegno delle produzioni locali. Sono necessarie politiche economiche e industriali per produrre quanto serve alla transizione ecologica a costi accessibili: pannelli fotovoltaici, pompe di calore, turbine eoliche, batterie, motori elettrici, componenti elettronici, unito al riciclo spinto di tutte le materie prime critiche e strategiche necessarie. Il peso economico di questa grande trasformazione non deve essere scaricato solo sui cittadini. Questo sta portando la transizione ecologica ad un fallimento e ad instabilità sociale. Si tratta di imboccare la strada opposta a quella percorsa finora e di realizzare la vera sovranità europea, ben diversa dal sovranismo nazionalista delle destre”.

 

Come vede la normativa italiana sulle comunità energetiche. Potenzialmente la direttiva era molto aperta. Perché si fa così fatica in Italia a farla partire? Si poteva fare meglio?

“Oltre due anni impiegati dal decreto di recepimento del novembre 2021 per arrivare a un decreto attuativo di gennaio 2024 e messa on line solo nell’aprile scorso per gli incentivi. Il contributo a fondo perduto del PNRR è stato limitato esclusivamente agli impianti nei comuni sotto i 5000 abitanti, cosa peraltro non prevista come perentoria in nessuna delle versioni del PNRR. ARERA non ha voluto applicare lo scorporo in bolletta dell’energia autoconsumata e condivisa (cosa fortunatamente corretta di recente nella riforma del mercato elettrico Ue). Circolari del MASE che hanno richiesto di modificare gli statuti delle Comunità energetiche ex post e con aggravio di spese per ben due volte. Tutto questo mira a trasformare in un bonsai il grande potenziale delle comunità energetiche, alla cui creazione ho dato un impulso determinante. Questi ritardi risultano ancora più insopportabili perché avvenute in un periodo di grave crisi energetica dove il corretto e rapido recepimento delle direttiva avrebbe lenito gli effetti dei costi energetici”.


Una delle grandi critiche che viene fatta alle rinnovabili che non riuscirebbero a coprire il fabbisogno dell’industria. Il mini-nucleare può essere risolutivo?

“Il problema delle rinnovabili non è tecnologico, ma politico. Di pianificazione ed autorizzativo. Il caso italiano delle Comunità energetiche è uno dei tanti, ci sono disposizioni europee approvate nel 2019 che non sono ancora operative in Italia, come ad esempio gli aggregatori di cui non vi traccia alcuna. Per quanto riguarda il mini-nucleare è simile a quello che alcuni sommergibili e portaerei nucleari usano dagli anni 50: in tutto questo tempo non è mai stato adattato a scopi civili. Solo quattro impianti sono ad oggi operativi: i mini-reattori civili non sono una tecnologia matura, e si moltiplicano i casi di progetti falliti o abortiti come quello di Nuscale negli Stati Uniti e di questo mese di Nuward dell’EDF francese. In Italia, dove è già complicato installare un parco eolico o fotovoltaico tra autorizzazioni lunghissime, opposizioni locali e moratorie regionali, dovremmo installare secondo le proposte di Pichetto Fratin e i calcoli dell’associazione ‘Energia per L’Italia’ tra i 58 e i 175 mini-reattori da qui al 2050, ma nessuno dice dove verranno posizionati. Per me siamo davanti a una grande operazione di distrazione”.