I temi e gli avvenimenti centrali del cambiamento climatico e del riscaldamento globale – nonostante il caso eclatante di “Don’t Look Up” , o, rimandendo in Italia, “Siccità” di Paolo Virzì e “Il ragazzo e la tigre” di Brando Qulici – non sembrano sfondare fra soggetti e sceneggiature delle produzioni statunitensi. La gran parte delle quali alimenta le piattaforme di intrattenimento disponibili anche in Italia e nei mercati europei. Cicloni, fenomeni meteo sempre più intensi, lunghe fasi di siccità. E ancora gli enormi incendi – come quelli che ogni estate mangiano migliaia di ettari in Europa così come nell’Ovest degli Stati Uniti – o le crisi migratorie legate al riscaldamento globale: c’è poco o nulla nelle serie e nei film di cui ci “cibiamo”, dice uno studio firmato dall’università della California del Sud, nello specifico dal Media Impact Lab.
Il gruppo di lavoro ha infatti analizzato oltre 37mila pellicole e sceneggiature di serie televisive andati in onda fra il 2016 e il 2022 fra emittenti e piattaforme digitali negli Stati Uniti. Questo è ovviamente uno dei primi limiti: la sensibilità è cambiata notevolmente proprio nell’ultimo biennio e il solo mercato a stelle e strisce, per quanto dominante in termini di distribuzione globale, costituisce comunque un punto di osservazione incompleto per quanto massiccio. Il risultato? A quanto pare solo il 2,8% di quei contenuti televisivi o cinematografici ha menzionato termini e parole in qualche modo collegate alle questioni del cambiamento climatico. L’indagine ne considerava 36, fra cui “pannelli solari”, “fracking“, “deforestazione”, “inquinamento degli oceani”, “innalzamento del livello dei mari” o “energie rinnovabili”. Sembra insomma che le case di produzione, così come gli autori, si tengano alla larga dalla dinamica più importante e dirimente che ci riguarda in termini di futuro del pianeta. Nello specifico, la parola “cambiamento climatico” appare nello 0,56% dei copioni indagati.
“Sappiamo che è una percentuale veramente bassa per un fenomeno che stiamo vivendo tutti” ha spiegato Anna Jane Joyner, fondatrice di Good Energy, una società di consulenza senza scopo di lucro, a The Fast Company. Il gruppo ha un obiettivo: portare il 50% delle sceneggiature televisive e cinematografiche ad affrontare argomenti correlati alla crisi climatica entro il 2027. Almeno in parte, almeno in qualche episodio. Perché anche con la cultura popolare si costruisce consapevolezza e, magari, si cambiano le abitudini. Chiaramente uno studio che si fonda sulle parole chiave non è del tutto rappresentativo, visto che film e serie sono fatte di immagini, allusioni, contesto, scenario, situazioni vissute dai protagonisti. Ma è un buon punto di partenza per scandagliare il fenomeno.
Senz’altro la situazione è in miglioramento. L’indagine cita per esempio un episodio di “Grey’s Anatomy” della scorsa stagione intitolato “Hotter than hell” (“Un caldo infernale”), basato sulla cappa di calore che aveva avvolto il Pacifico nord-occidentale l’estate precedente. C’è poi un nuovo dramma in arrivo su Apple Tv+, “Extrapolations”, con Meryl Streep, Edward Norton e Marion Cotillard. A quanto pare sarà una serie su “come i cambiamenti imminenti sul nostro pianeta influenzeranno l’amore, la fede, il lavoro e la famiglia a livello individuale e collettivo”. Dinamiche e sviluppi non proprio scontati appena qualche anno fa. Lo studio segnala poi altri casi, più piccoli, in cui il cambiamento climatico e argomenti affini sono riusciti a fare capolino, dalla serie “Abbott Elementary” della Abc a “Reservation Dogs” di Hulu, entrambe disponibili in Italia su Disney+.
“La crisi climatica è una parte importante della nostra esperienza globale e individuale, e lo diventerà ancora di più nel prossimo decennio” ha aggiunto Joyner. “Alla fine sarà una scelta creativa intenzionale non includere menzioni sui cambiamenti climatici e le storie sembreranno obsolete se non riconoscono che quegli aspetti fanno parte del nostro mondo proprio in questa fase”. Come sarà possibile, si domandano gli esperti, escludere del tutto temi così importanti nell’esistenza quotidiana e globale – di cui, fra l’altro, le indagini dimostrano che siamo più preoccupati di quanto si possa reciprocamente pensare – da contenu
Crisi e catastrofi climatiche, in realtà, hanno lungamente popolato le sceneggiature dei titoli cosiddetti, appunto, catastrofisti, fino a creare un genere molto popolare. Ma non è ciò di cui abbiamo bisogno adesso. Ci servono invece contenuti differenti per stili e approcci – come lo stesso “Don’t Look Up” dimostra – che spazino dalla commedia al dramma. Dobbiamo in qualche modo inserire nel quotidiano dei personaggi sul piccolo o grande schermo la realtà che viviamo ormai con estrema frequenza, per fare in modo che anche le ansie e le preoccupazioni delle persone possano trovare più spazio nella loro vita e nel dibattito pubblico: “Anche negli ultimi anni, lo abbiamo visto sempre di più, si sono moltiplicate non solo rappresentazioni futuristiche che parlano del cambiamento climatico ma che mostrano dove viviamo e cosa sta succedendo in questo momento” ha commentato Max Boykoff, ricercatore all’ateneo Colorado a Boulder che studia esattamente la comunicazione del climate change. “Non si tratta solo di sacrificio. Può riguardare l’innovazione, può riguardare l’opportunità, può riguardare il divertimento”. Serve però che se ne parli di più e con toni e voci diverse, lontani dai “disaster movie” del passato.
Eppure anche gli autori si scontrano con non poche resistenze, quando presentano i soggetti di nuovi titoli. Lo conferma sempre a The Fast Company Victor Quinaz, sceneggiatore e produttore di show come “Glow” o “Big Mounth” di Netflix: “Non credo che entrerei mai in una stanza e di un soggetto direi ‘questo è sul cambiamento climatico’”, ha detto. “Sarebbe un pitch-killer. Credo che dobbiamo essere molto più sottili riguardo alla narrazione”. Un esempio è appunto il modo in cui, all’interno di un episodio di “Big Mouth”, Quinaz e colleghi sono riusciti a inserire un passaggio di questo tipo collegandolo alle ansie degli adolescenti, che è il cuore della serie.
Come detto, qualcosa sta cambiando. Lo testimonia anche Dorothy Fortenberry, sceneggiatrice e produttrice proprio di “Extrapolations”, serie in uscita creata da creata da Scott Z. Burns: “Negli ultimi cinque anni ho preso parte a molte altre conversazioni su come portare consapevolezza della complessità del cambiamento climatico negli show in fase di scrittura”. Le persone cominciano a chiedersi per quale ragione un tema così centrale venga depennato da film e serie che seguono con passione e a cui dedicano ore della propria vita. Ma la condizione perché se ne parli di più è che l’approccio si faccia più ricco, sfaccettato in termini di stili e multiforme. Che rispecchi davvero ciò che succede belle nostre esistenze.