Matrimoni, feste di laurea, buffet aziendali, un terzo del cibo offerto preparato per un evento, di solito non viene consumato e finisce nella spazzatura. E invece dal ricevimento di nozze quel cibo di qualità potrebbe essere servito direttamente alle mense sociali. Si chiamano Foodbuster e sono i volontari che recuperano il cibo sprecato soprattutto durante i matrimoni.
“Recuperiamo tutto ciò che non esce dalla cucina, oppure che torna indietro intonso o che addirittura non viene nemmeno portato a tavola. Succede spesso”, spiega Diego Ciarlone co-fondatore insieme alla moglie Simona Paolella di “Foodbuster-gli acchiappacibo”, un’associazione collegata ad altre sparse in tutta Italia e legata alla rete Food P.r.i.d.e. (partecipazione, recupero, inclusione, distribuzione e educazione). Obiettivo comune: combattere lo spreco alimentare non solo in un’ottica solo solidale “ma cercando di capire che ridurre le eccedenze alimentari è un beneficio per tutta la collettività”.
Spiega ancora Diego: “Noi non ci occupiamo di cibo prossimo alla scadenza raccolto nei grandi centri commerciali, ma di cibo fresco. Il nostro principio è connettere i luoghi del potenziale spreco con i luoghi del bisogno nel più breve tempo possibile. E fare rete. Il fresco in eccedenza infatti finirebbe nella pattumiera, con costi non soltanto etici e culturali, ma anche economici. Perché il paradosso è che il cibo buttato aumenta il volume di rifiuti e anche l’imposta. Così ci siamo chiesti cosa possiamo fare noi nella nostra città, nel nostro piccolo e con pochi mezzi?”.
Il recupero del cibo fresco e di qualità
Così è nata Foodbusters e Diego è riuscito a convincere una quindicina di persone a partecipare al progetto. Tra loro ci sono impiegati statali, un paio insegnanti, un commercialista, due studenti. Tutti volontari e nessuno che prima d’ora si era occupato di cibo, e anche lontani dal welfare “ma che mettono a disposizione il proprio tempo per raccogliere il cibo in eccesso e servirlo nei luoghi del bisogno”.
Agente immobiliare lui, psicoterapeuta lei, i coniugi antispreco abitano ad Ancona. L’idea di Foodbuster è venuta, raccontano, parlando con alcuni commercianti del loro quartiere che, a fine di ogni giornata, recuperavano gli alimenti in eccesso, freschi e di ottima qualità, da donare alle persone in difficoltà. Si sono detti, allora perché non riportare lo stesso impegno dalla pasticceria o la macelleria di quartiere nei luoghi dove è alto il potenziale spreco, ossia tutti quelli dove si produce cibo fresco come i banchetti di nozze e i buffet per le feste?
Così si sono legati alla rete Food P.r.i.d.e. e nel giro di qualche anno sono stati chiamati a circa 2 mila matrimoni. Non solo nelle Marche, ma in tutta Italia. “Abbiamo cominciato a proporre la nostra idea agli amici e conoscenti che organizzavano feste e matrimoni, ma la cosa si è allargata in breve tempo. Oggi veniamo chiamati perfino dalle weeding planner, che fino a poco tempo fa, ci vedevano con grande diffidenza. Ora sono nostro sponsor”.
Come funziona Foodbusters?
“Una volta che gli sposi richiedono il nostro intervento, verso la fine del banchetto arrivano anche i volontari che restano in cucina documentando ciò che torna indietro o che resta intonso e quel che viene recuperato. Diamo conto agli sposi di tutto, anche dove portiamo il cibo. Il nostro impegno costante è organizzare una rete che permette al cibo fresco di percorrere il minor tragitto possibile e di trasformare quel potenziale spreco in una risorsa per il territorio. Di solito, sono le mense sociali più vicine al luogo dove è avvenuto il banchetto. Noi portiamo cibo buonissimo su quelle tavole che altrimenti sarebbe stato buttato via”.
I volontari di Foodbusters e Food P.r.i.d.e. hanno una loro filosofia che li contraddistinguie da altri enti come la Caritas e il Banco Alimentare. Spiega ancor Diego: “Il cibo non è solo materia con funzione nutrizionale, ma anche cultura e relazioni sociali, in stretta connessione con i territori. Un bene comune e combattere le eccedenze significa portare un beneficio per tutta la comunità. Bisogna rimetterlo in circolo quel cibo prima che diventi rifiuto. Per questo è necessario creare comunità tra pari, contrastando la povertà alimentare e rispettando la dignità di ognuno. Ad esempio, perché chi riceve cibo non potrebbe anche lavorare sulle eccedenze alimentari pensando ad un riscatto sociale e ad un suo reintegro. Il nostro sogno? Una comunità a zero spreco del cibo. Sappiamo che la nostra idea non sarà risolutiva. Ma efficace sì.”