Certo, c’è quel sogno caraibico che è la spiaggia di Ses Illetes, chiusa con quella di Levante nell’estrema punta dell’isola e circondata da uno degli specchi di mare più trasparenti del Mediterraneo. Nulla da invidiare a destinazioni ben più esotiche e lontane. Oppure il fascino più appartato di Mitjorn, sulla “gamba” orientale dell’isola, dove scappare dalla folla e dai locali di Es Pujols che cominciano a rianimare le strade e le nottate. Sulla strada che, se percorsa fino alla fine, ci porta al faro della Mola che ispirò perfino Jules Verne nel racconto delle “Avventure di Ettore Servadac” del 1877, pochi anni dal termine della costruzione. E magari anche, ogni mercoledì e domenica, allo storico mercatino dell’artigianato del Pilar della Mola. Eppure Formentera, la più piccola delle Baleari e a sua volta parte delle Pitiuse, le isole “piene di pini” insieme alla vicina Ibiza, è molto di più. Così piccola eppure così grande. Così vicina alla patria del divertimento e della vita notturna eppure così selvaggia.
La posidonia oceanica
Occorre anzitutto chiedersi perché il mare di Formentera sia così pulito e dipinga quelle infinite sfumature di blu azzurro e celeste. Una delle benedizioni che l’isola ha ricevuto, e che sta proteggendo in modo sempre più intenso con numerosi programmi di tutela e sensibilizzazione dedicati, è infatti costituito dalle immense praterie di posidonia sui fondali circostanti. Una cintura di protezione ambientale di enorme importanza, unica nel suo genere per estensione e per gli effetti benefici sull’ambiente e sull’ossigenazione delle acque: basti pensare che un metro quadrato di posidonia equivale a tre di foresta pluviale in termini di assorbimento di CO2 e di rilascio di ossigeno e di altre sostanze organiche. Pianta marina endemica del Mediterraneo, ovviamente ben nota anche in Italia dalla Toscana al Lazio alla Puglia anche se in crescente pericolo, cresce formando praterie nelle acque pulite, fino a profondità di circa 40 metri. L’aspetto sconvolgente è che un solo esemplare può estendersi fino ad ampiezze di 15 chilometri e per certi esperti ne stimano l’età anche in diverse decine di migliaia di anni: nel maggio del 2006 un team internazionale di scienziati scoprì ad esempio un vasto prato di posidonia tra le isole di Formentera e Ibiza lungo oltre 8 km e vecchio di 100mila anni. Nel 1999 le praterie incluse nel Parco nazionale delle saline di Ibiza e Formentera sono state dichiarate patrimonio dell’umanità dell’Unesco: il piccolo ma curatissimo museo del faro della Mola segnala che si calcolano quasi 80 milioni di metri quadrati di praterie subacquee, caso praticamente unico in grado di regalare all’ecosistema sottomarino dell’isola un equilibrio senza paragoni. Ma anche, attraverso l’attenuazione del moto ondoso, di proteggere l’arenile dall’erosione e favorire il ripristino delle dune sabbiose.
Per questo pochi anni fa, precisamente nel 2017, il Consell Insular de Formentera ha lanciato “Save Posidonia Project”, un programma di fundraising finalizzato alla protezione e alla salvaguardia della pianta marina e alla sensibilizzazione sull’importanza vitale di queste praterie subacquee, “adottando” parte dei 7.600 ettari che circondano l’isola. Ogni anno a ottobre l’isola ospita il Posidonia Forum che approfondisce i temi di maggiore urgenza su questa pianta acquatica dalle caratteristiche simili a quelle delle piante terrestri, fondamentale per la sopravvivenza di numerose specie di pesci, molluschi, echinodermi e crostacei. A essi fornisce riparo per la riproduzione e l’alimentazione. Un ruolo così centrale che l’isola ha dedicato alla posidonia perfino una scultura celebrativa.
Arrivare a Formentera
Gli 82 km quadrati di superficie e i quasi 70 di costa di Formentera si raggiungono solo via mare, dalla vicina Ibiza con i traghetti veloci che partono ogni 30 minuti (più o meno 50 euro andata e ritorno per circa 3 km, una delle tratte di mare più care al mondo). L’isola ha riaperto al turismo dal 23 di maggio e per entrare in Spagna è sufficiente un test antigenico rapido o molecolare effettuato nelle 48 ore precedenti l’arrivo oltre alla registrazione su un portale dedicato che fornirà un QR Code chiesto allo sbarco all’aeroporto di Ibiza. Prima fra i paesi europei, la Spagna già accetta anche il green pass europeo. Oltre il 45% della popolazione è stata vaccinata, i casi di Covid-19 sono praticamente prossimi allo zero, il coprifuoco è stato abolito mentre rimane l’obbligo delle mascherine all’aperto (ma non in spiaggia, in piscina o mentre si fa sport) e nei luoghi chiusi, il mantenimento delle distanze di sicurezza e alcune misure per i locali con l’occupazione interna dei ristoranti al 50% e un massimo di 6 persone allo stesso tavolo, quella esterna al 100% con 10 commensali al massimo e la chiusura delle spiagge alle 22. Ma ogni 14 giorni anche queste misure saranno riviste. Ancora chiusi, invece, club e discoteche come d’altronde a Ibiza.
Il parco delle saline, Cap de Barbaria, Mola e birdwatching
Oltre la posidonia, il Parco naturale delle saline rappresenta anche una zona di riposo e di nidificazione per gli uccelli migratori (ma alcune popolazioni sono ormai stanziali). Un’area affascinante nella parte nord-orientale dove potersi concedere lunghe sessioni di birdwatching alla ricerca di fenicotteri, cavalieri d’Italia, garzette, avocette, falchi pescatori, aironi cenerini, pantane e molte altre specie con i loro piccoli. Il percorso migliore per avvistarli è una strada sterrata che inizia appena usciti dal porto della Savina, sulla destra in direzione Es Pujols appena usciti dall’abitato, il Camí des Brolls inaugurato lo scorso anno. Senza contare quelle che, invece, possono essere avvistate con un’escursione in un’altra delle zone protette dell’isola: quella che si sviluppa sulla “gamba” occidentale nei pressi dell’altro faro, quello di Cap de Barbaria, fra bassi arbusti e secolari esemplari di ginepro sabina che danno a Formentera perfino un odore indimenticabile, insieme ai pini. Da quelle parti, invece, accompagnate dall’onnipresente lucertola delle Pitiuse dalle brillanti striature azzurro-verdognole, trovano casa alcune specie endemiche come la Sylvia balearica. Un tempo il faro e la Torre Des Garroveret, punto più a Sud delle Baleari, si potevano raggiungere liberamente, oggi la strada è chiusa ad auto e scooter perché l’area è appunto coinvolta da una serie di progetti europei di tutela. Facile avvistare anche cormorani crestati, gli onnipresenti gabbiani reali zampegialle e perfino i falchi pellegrini. Il faro della Mola e le sue scogliere che toccano i 120 metri sul mare fino al punto più alto, sa Talaiassa, di 195 metri, sono invece lo scenario ideale per la berta delle Baleari, formidabile pescatrice in pericolo d’estinzione che qui ha la sua colonia più importante del mondo con quasi 500 coppie. Ma anche per l’upupa, il gufo o la berta maggiore. Per chi volesse orientarsi meglio fra nomi, specie e località, a Can Marroig c’è un centro di interpretazione dove è possibile saperne di più sui parchi su flora, fauna ed eredità delle saline.
Non è un caso che Formentera sia la prima destinazione europea candidata ad entrare nell’Unesco World Heritage and Sustainable Tourism Programme: un percorso che si basa su un approccio al turismo basato sul dialogo e la cooperazione tra le parti interessate, dove la pianificazione delle visite e la gestione del patrimonio sono integrate a livello di destinazione, i beni naturali e culturali sono valorizzati e protetti, e si sviluppa un turismo adeguato.
Le saline
Da alcuni anni è anche ripresa la vita industriale delle saline, beni di interesse culturale dal 2005, almeno in una loro porzione sia dell’Est (Marroig) che dell’Ovest (Ferrer). Un accordo con l’azienda belga Posidonia S.A. ha consentito non solo il recupero dei principali elementi architettonici della zona ma anche il rilancio di un’attività abbandonata da vent’anni e che oggi produce sale liquido bassissimo in sodio, appena l’8% (sempre grazie al lavoro della posidonia sull’acqua marina che viene pompata dalle saline attraverso l’Estany Pudent, uno dei due grandi bacini lagunari dell’isola insieme all’Estany des peix). L’attività delle saline, iniziata negli anni Venti del Novecento, si interruppe infatti nel 1985 e solo all’inizio degli anni Novanta si iniziò a pensare, grazie al lavoro di David Calzada Pous, a come recuperarle in modo armonico con gli ecosistemi, preservando gli habitat degli uccelli migratori ma risparmiando anche il rilascio di acqua ad alta concentrazione di sale nelle coste circostanti. La produzione di questo particolare sale liquido, totalmente sostenibile e affidata al lavoro dei batteri estremofili presenti nelle saline, è ripresa nel 2008 e l’azienda sforna anche sali tradizionali e a uso cosmetico.
Il trekking nelle “rutas vertes”
Fra una sosta in spiaggia – senza scordare ad esempio Cavall d’en Borràs, Cala Saona e Ses Platgetes – e un pranzo o una cena in uno dei ristoranti tipici ci si può dedicare anche al trekking. Fra le tappe culinarie impossibile non citare Sa Platgeta sul tratto più settentrionale della spiaggia di Mitjorn o Can Rafalet, a Es Calò, dove gustare l’insalata payesa, tipica dell’isola con l’uso del “peix sec”, il pesce essiccato. Fra i posti più di tendenza, e più recenti, merita una menzione A mi manera, all’inizio della strada per Cala Saona, una specie di grande “fazenda” che sfugge al richiamo del mare e recupera invece la tradizione contadina dell’isola col suo orto e i suoi prodotti a km zero. Per dormire, giacché gli alloggi non sono uno scherzo a Formentera, una scelta strategica, elegante ma non esagerata può essere quella dell’hotel Blanco di Es Pujols.
Il trekking, si diceva. La “isla blanca” si può infatti scoprire grazie alla fitta rete di 32 circuiti da godere a piedi o in bicicletta. Si tratta di “rutas vertes”, percorsi verdi ben segnalati da cartelli in legno che si estendono per circa 130 km lungo tutta l’isola e si dividono in base alla difficoltà, tipi di fondo e distanze. Si possono consultare qui e per ciascuno ci sono percorsi da visualizzare in un solo tocco su Google Maps, su Wikiloc o da scaricare. Spaziano da 1,5 kilometri a 12,3 kilometri per i più coraggiosi. L’itinerario più interessante, e anche il più complesso, è senz’altro il numero 25: si tratta del Camí de sa Pujada, quattro chilometri che partono da Es Calo de Sant Agustí. L’origine risale al XIII/XIV secolo, visto che si tratta dell’antica strada per salire al Pilar de la Mola. Mano a mano che si avanza si spalancano i migliori panorami di tutta l’isola, del Racó de Sa Pujada e del Pou des Verro. Chi vuole può rivolgersi agli uffici del turismo e richiedere perfino delle audioguide, anche in italiano, per apprezzare ogni dettaglio delle camminate. Un punto di vista diverso per conoscere un pezzo di terra magico e libero che in molti hanno visitato, e che gli italiani in particolare adorano da vent’anni, ma pochi possono dire di aver davvero scoperto.