Ha cominciato ad occuparsi negli anni Novanta di economia ambientale, quando la crisi climatica sembrava cosa lontana e ancora in tanti ne mettevano in dubbio l’esistenza. Francesco Bosello, professore del dipartimento di Scienze ambientali, informatica e statistica alla Ca’ Foscari di Venezia, oggi guarda quasi con incredulità al passato e con una certa rassegnazione al futuro.  

“I cambiamenti climatici non si misurano da un anno all’altro”, spiega Bosello. “Quel che accadrà nel 2022 sarà un’intensificazione dei fenomeni estremi che si sono verificati negli ultimi anni. Mi aspetto ad esempio un’estate molto calda e un inverno segnato da forti precipitazioni. Perché ci sono pochi dubbi sulla strada che abbiamo intrapreso. Quando ero studente alla fine degli anni Novanta, c’erano già proiezioni che prevedevano cosa sarebbe successo nel 2020. Sembrava un orizzonte lontanissimo. Tutti quegli scenari usavano modelli poco evoluti, eppure alla prova dei fatti si sono dimostrati accurati. Si parlava di eventi climatici estremi, iniziando dalla tropicalizzazione del Mediterraneo. Non che prima mancassero del tutto certi eventi come gli allagamenti, ma sono aumentati in frequenza e intensità. E non andranno via, il clima è già cambiato irrimediabilmente. Ora si tratta di non peggiorare quel che è già peggiorato”.

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2021, l’anno estremo del clima

di Luca Fraioli

E sul fronte economico?

 

“Fino a poco tempo fa c’erano pochi studi sugli impatti economici legati al cambiamento climatico. Oggi invece le indagini si sono moltiplicate così come la raccolta di dati. La sorpresa, con i nuovi studi, è che l’impatto economico sarà più alto del previsto. Nel 2050, anche se il mondo mantenesse le promesse di Parigi e Glasgow, la perdita di prodotto interno lordo (Pil) per l’Italia sarebbe del 2.5%. Se invece riducessimo le emissioni così da limitare l’aumento della temperatura sotto i due gradi, la perdita andrà fra lo 0,3% e l’1,9% secondo le contromisure che prenderemo in questi anni”.

 

Quali saranno i settori più colpiti?

 

“L’agricoltura con 30 miliardi all’anno di perdite in assenza di politica climatica. E poi il turismo, che vale oltre il 10% del pil, con un declino pari a 50 miliardi di euro l’anno. Ma se facciamo un ragionamento economico, poi bisogna scendere a livello regionale. Il sud sarà sicuramente più colpito rispetto al nord. L’agricoltura, ad esempio, verrà condizionata dalle temperature africane al Sud e dalle precipitazioni al Nord. Si creerà una disparità, quindi, a sfavore del Sud e così la distanza economica rispetto a quella di oggi si farà ancor più profonda”.

Il 2022 sarà anche l’anno nel quale vedremo i primi passi concreti fatti grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

 

“Il miglioramento delle infrastrutture è essenziale, iniziando dalle ferrovie che devono assorbire quello che non va più su gomma e che inquina molto di più. Bisogna sempre ricordare che gli investimenti in resilienza climatica delle infrastrutture hanno un rapporto costi benefici alto: per ogni euro speso se ne risparmiano cinque. E sulle coste, particolarmente esposte, questo rapporto arriva ad uno a venti stando alle stime. Per questo serve pianificare e l’Italia da questo punto di vista lo fa molto meglio di quel che si crede in genere”.

Il 2021 è stato l’anno del boom dei monopattini elettrici. Cosa si aspetta di vedere nel 2022 in fatto di micro-mobilità?

 

“Il grande tema oggi sembra sia il passaggio all’auto elettrica. Ma è un passaggio pieno di ostacoli: costruzione delle batterie, colonnine, autonomia dei veicoli. In realtà secondo me il tema non è tanto la sostituzione dell’auto a benzina, ma ridurre a priori la necessità del suo utilizzo. La mobilità urbana dovrebbe esser fatta di mezzi pubblici e dovrebbero essere gratuiti. Così come la sanità. Se infatti il trasporto pubblico fosse gratuito, capillare ed efficiente, i vantaggi in termini economici compenserebbero la spesa. Parliamo di CO2 ridotta, allungamento dell’aspettava di vita in virtù di un minore inquinamento, molte meno malattie polmonari e in generale una qualità dell’esistenza dei cittadini più elevata”.  

Le auto dovrebbero essere tirate via dalle città?

 

“Gradualmente. Non bisogna garantire a tutti la macchina, ma a tutti di poter andare dove si vuole e quando si vuole. A Londra hanno costruito nel centro della città alcuni grandi grattacieli e non hanno previsto nessun parcheggio perché erano all’incrocio di tre fermate della metro. Noi quando lo facciamo noi invece la prima cosa alla quale si pensa è subito il parcheggio. La pandemia ci ha mostrato, nella tragedia, quante cose si possono fare senza doversi spostare. Prima del Covid era una situazione inimmaginabile. Dovremmo farne tesoro. La mia opinione è che i centri storici, specie quelli piccoli, potrebbero già oggi rinunciare alla macchina. Ma bisognerebbe organizzare dei punti dove si può lasciarla. E vale anche per le grandi città. Basti pensare a Londra, Parigi o Tokyo. In questi casi la densità abitativa aiuta perché i servizi di mobilità condivisa raggiungono un numero alto di persone. E’ una strada possibile e il trasporto pubblico gratuito è un tassello essenziale per intraprenderla”.