Francia, dove l’overtourism è già tornato, come e forse prima che in Italia. E le iniziative di limitazione dei flussi, a cominciare dal numero chiuso, si stanno moltiplicando. L’ultima eclatante in ordine di tempo arriva dalla vicina Corsica: da pochi giorni, tre siti, tra cui Lavezzi, l’isoletta-gioiello attaccata a Bonifacio (chiamata anche “I Lavezzi” assieme agli scogli che la circondano, e al singolare, Lavezzo, considerando l’isola “maggiore” in solitaria), le Cime di Bavella e le Gole della Restonica, sono a ingresso contingentato. In particolare, per l’isola che dista qualche miglio da Santa Teresa di Gallura e ancor meno da Razzoli del gruppo della Maddalena, è stato fissato un tetto massimo di 2mila persone al giorno presenti sulla “parte terrestre dell’isola”, con tanto di priorità ai residenti corsi in fase di prenotazione. La nuova normativa stabilisce poi limiti massimi annuali per i prossimi anni.
Poche settimane prima, analoga sorte era toccata ad alcuni tra i più frequentati siti delle Calanques, l’area marina vicino a Marsiglia – con associato parco nazionale – che tra le prime forse al mondo era caduta vittima delle conseguenze del turismo di prossimità. L’anno scorso, venne letteralmente presa d’assalto dai residenti dell’attigua città portuale, in quella fase della pandemia in cui vincoli nazionali, internazionali e circospezione dei singoli avevano indirizzato le prime uscite post-lockdown verso la gita o la vacanza a raggio breve: arrivarono cifre di accessi da record assoluto, con gli annessi problemi di traffico e di igiene ambientale. Dalle ultime domeniche di giugno, nelle baie più popolari, quelle di Sugiton e delle Pierres Tombées, l’accesso è consentito a soli 400 bagnanti al giorno, contro i 2.500 medi usuali che l’affolla(va)no nei festivi della stagione balneare.
Sono solo i casi limite di un fenomeno che oltralpe ha prodotto un considerevole numero di effetti, tra veri e propri provvedimenti restrittivi e campagne di sensibilizzazione delle locali associazioni di tutela dell’ambiente e del patrimonio. A Étretat, il piccolo centro marino normanno, teatro della splendida falesia bianca cara a Claude Monet, si vedono folle oceaniche, come mai accaduto prima se non forse in quell'(unico) giorno i cui la baia era uno dei più affascinanti set disponibili per ammirare l’eclissi totale di sole che attraversò uno spicchio di Europa tra Nord-Ovest e Sud-Est nell’agosto 1999. La paura degli ambientalisti dell’area è che quel promontorio, friabile e vulnerabile quanto lo può essere la Scala dei Turchi agrigentina, non sia in grado di sopportare la massa di 5-6mila turisiti che la popolano in alta stagione, e che, tra l’altro, hanno l’abitudine di portare via – e neppure uno alla volta – i ciottoli-souvenir dalla spiaggia: secondo una stima del 2019, nella stagione di punta gli ospiti arrivano ad alleggerire il litorale anche di 400 chili al giorno.
Jean-Baptiste Renié, uno dei consiglieri comunali della località, che conta 1.600 abitanti, è preoccupato della capacità del sistema di acque reflue, “che non è pensato per sopportare le esigenze di un simile numero di persone”. Tanto da dover essere temporaneamente chiuso, nell’inverno scorso, per lavori di manutenzione straordinaria dovuti ad uso eccessivo.
“Dopo ogni weekend di alta stagione – spiega all’agenzia francese AFP Shaï-Hannah Mallet-Bitton, giovane attivista-avvocata che ha passato infanzia e adolescenza nel piccolo borgo normanno – se visiti la falesia subito dopo che i turisti hanno abbandonato in massa, trovi ovunque cartacce, mascherine, mozziconi di sigarette”, che poi vengono rimossi da volontari del demanio di Étretat. “Abbiamo bisogno dei turisti, ma bisogna trovare un equilibrio. E sarebbero gli stessi visitatori a trarne beneficio. Molti di loro se ne vanno di qui arrabbiati dopo aver trascorso ore all’inutile ricerca di un parchegguio, o di un posto dove pranzare, o di servizi igienici, perché le infrastrutture non sono sufficienti a gestire simili volumi. Il turismo di massa non soddisfa nessuno”.
Gli eccessi da revenge-tourism affliggono molte aree francesi. Secondo Julien Buot, direttore di Agir pour un Tourisme Responsable (agire per un turismo responsabile), assiociazione che ha come mission quella di implementare la consapevolezza ecologica tra gli operatori turistici, la tendenza alla regolamentazione dei siti ad alta frequentazione è benefica. “C’è una crescente presa di coscienza sia da parte degli amministratori locali che degli operatori turistici sul fatto che non dobbiamo aspettare che le cose vadano ancor peggio. L’idea è quella di prendere in mano la situazione in anticipo, in modo da prevenire ad esempio le chiusure dei siti in toto”. Buot cita come esempio le iniziative adottate nella regione, Provenza-Alpi-Costa Azzurra, che ha siglato una partnership con Waze, la app che fornisce indicazioni stradali in tempo reale e che in questo caso può distogliere i potenziali turisti dalle aree più affollate e dirottarli – temporaneamente – altrove, per poi magari dirigere sul sito più frequentato nelle ore di calma.
Analoga scelta è stata adottata al Mont-Saint-Michel. Il sito Unesco da sempre seconda meta più visitata dal turismo internazionale in Francia, dopo Parigi, con punte di oltre 3 milioni di ospiti l’anno, fa sapere attraverso Waze quando le sue strettissime viuzze e l’abbazia sono piene, indicando anche le possibili attrattive turistiche dove attendere l’agognato momento, a breve distanza.
Sin dalle prime riaperture post-lockdown, molti francesi, come è accaduto e sta ancora accadendo in Italia, hanno almeno temporaneamente abbandonato l’idea di fare vacanza oltreconfine. “Molti, ad esempio – dice ancora Buot – si sono improvvisati amanti della vacanza ‘wild’, senza essere preparati alle escursioni nella natura, e senza che i siti prescelti fossero preparati ad accogliere tante persone”. Il Parco Naturale Regionale della Chartreuse (tra Grenoble e Chambery, non lontano dal confine con Piemonte e Valle d’Aosta), letteralmente preso d’assalto come da una tempesta, ha dovuto proibire, già dalla scorsa estate, il bivacco in tenda nelle aree montane. “Se troppi escursionisti si accampano e accendono fuochi, finiscono per disturbare animali, flora, e gli stessi abitanti locali”.
Tra i fenomeni recenti, quello capace di sconvolgere in breve tempo equilibri faticosamente raggiunti nell’arco degli anni se non dei decenni, è l’effetto Instagram. “Prima, tra il momento in cui l’Unesco inseriva un sito nel World Heritage e l’arrivo della massa potevano passare diversi anni – spiega ancora Buot – Ora, quando un influencer posta l’immagine di un sito fuori dalle rotte del turismo globale, dopo poche settimane, in qualche caso dopo pochi giorni, i visitatori sono già a centinaia”.
Non ultima tra le problematiche annesse all’invasione di massa, e anche al ruolo del viaggio come fenomeno social, in particolare per luoghi scoscesi come la falesia di Étretat, c’è quella relativa all’incolumità degli ospiti. Mallet-Bitton racconta di aver visto numerosi turisti che si scattano i selfie sulla cresta della falesia, sospesi nel vuoto, mettendo a repentaglio la loro stessa vita. Come accaduto anche in altri luoghi analoghi, come le Cliffs of Moher irlandesi, quest’anno due donne sono morte precipitando dal crinale mentre tentavano di fotografare o fotografarsi.
Migliorare i cammini sul crinale, la segnaletica, adeguare la raccolta dei rifiuti ai nuovi volumi del turismo. Necessità pressoché inderogabili per lo splendido comune normanno, che però hanno un costo. Per tutto questo Jean-Baptiste Renié gioisce all’idea che Étretat stia per essere ammessa tra i “Grandi siti della Francia”. “Ci permetterà di ‘mettere tutta la zona da parte’, ottenere finanziamenti per la sua conservazione e gestire meglio l’ondata di turisti”.